Carlo Bartoli, presidente dell'Ordine nazionale dei giornalisti ©Foto Markus Perwanger

Storie

Informazione di valore. Valore dell’informazione

Nel buon giornalismo un antidoto al falso. Intervista a Carlo Bartoli, presidente dell’Ordine nazionale dei giornalisti

18 maggio 2022
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di Alessandra Saletti
Ufficio Stampa e Relazioni Esterne dell'Università di Trento

Lotta alla disinformazione e alla manipolazione. Equilibrio e qualità nel giornalismo. Informazione libera e ruolo dell’intermediazione giornalistica. Sostegno ai giornalisti minacciati. Ne parliamo con il presidente dell’Ordine nazionale dei giornalisti, Carlo Bartoli.

Presidente Bartoli, nella sua visita a Trento lo scorso 3 maggio, in occasione della Giornata internazionale della libertà di stampa, ha parlato del ruolo di mediazione che giornaliste e giornalisti svolgono e del difficile contrasto a disinformazione e censura. Cosa sta succedendo nel mondo dell'informazione?

Nell’ecosistema digitale serve più giornalismo e meno disintermediazione. Credo sia ormai del tutto tramontato il mito del web percepito esclusivamente come uno spazio aperto di libertà. Il web, come i social media, è uno spazio dove ci sono comunità, relazioni, informazioni fondate, dibattiti seri ma dove c’è tanto business, tanto marketing, tantissima manipolazione e, aggiungerei, tanti reati, alla stregua dello spazio fisico. 

Detto questo, il ruolo dei giornalisti cambia alla luce dei processi di digitalizzazione sempre più avanzati. Oggi il nostro ruolo si concentra soprattutto nella selezione e nella verifica delle fonti. Avendo tramite internet un accesso quasi illimitato ad ogni genere di informazione, oggi tanti naviganti stanno tornando alle fonti ufficiali, ai siti istituzionali e, per quanto riguarda la narrazione degli eventi, al prodotto giornalistico che, nonostante tutto, è considerato ancora affidabile. 

Questo fenomeno è stato osservato durante la pandemia ed è stato verificato da diversi studi che hanno rilevato che nel 2020-2021 è fortemente aumentata in rete la richiesta di fonti istituzionali e giornalistiche. Ovviamente questo richiede un giornalismo professionale e di qualità.

Oggi siamo di fronte al problema dell’informazione in tempo di guerra e la guerra è nemica della verità. Purtroppo i giornalisti sono diventati un bersaglio stabile dei conflitti armati, in Ucraina come in Cisgiordania e nel resto del mondo, e stanno pagando un prezzo di sangue elevato. Servono più tutele e garanzie. Guardando, invece, a casa nostra ci tengo a ribadire che gli ospiti di un programma di approfondimento giornalistico televisivo non li decide né la Commissione di Vigilanza, che peraltro si occupa solo di Rai, né il Copasir. Perché o si hanno le prove del fatto che alcuni ospiti sono effettivamente delle spie, oppure ogni genere di censura sui nomi è inaccettabile: gli ospiti li decide il giornalista, non l’azienda o il governo. Questo è uno dei cardini della nostra professione. Si possono esprimere delle critiche sulle modalità specifiche di certe scelte, ma sulla questione generale non vi può essere alcun arretramento, ne va del pluralismo e della libertà di informazione.

L’informazione oggi è a rischio, da molti punti di vista. È a rischio la qualità e l'equilibrio. In molte parti del mondo, è a rischio la possibilità stessa di accedere a un’informazione libera. E rischiano in prima persona i giornalisti.
Cosa può fare il sistema dell’informazione per tutelarsi? Cosa va chiesto invece alle istituzioni? E cosa possono fare i cittadini?

L’informazione è a rischio quando si cerca di applicare una censura preventiva. Ci sono state molte polemiche in merito all’intervista al ministro degli Affari Esteri Sergei Lavrov, intervistato a ‘Zona Bianca’ su Mediaset. Credo che qualunque giornalista avrebbe fatto quell’intervista. Si può discutere sul modo in cui è stata condotta, o meglio ancora sul fatto che prima o dopo la trasmissione dell’intervista poteva essere espressa una presa di distanza su alcune dichiarazioni di Lavrov. Ma la professione del giornalista è questa, sentire tutti col giusto approccio critico. Questo vale oggi per gli esponenti della Russia, come vale per i nostri governanti che non sempre gradiscono le domande scomode. E poi nella storia del giornalismo abbiamo avuto figure illustri come Biagi, Zavoli, Montanelli e molti altri che ne hanno fatte tante di interviste a personaggi particolari e discussi; ma sempre a schiena dritta. Questa è la loro grande lezione che non deve essere mai dimenticata.

Per quanto riguarda i rischi cui sono esposti i giornalisti, questi crescono in modo esponenziale e sono di vario genere. Oltre alla guerra, ricordiamoci che l’Italia è sotto osservazione speciale da parte dell’Unione Europea per le minacce e le intimidazioni contro i giornalisti. Le aggressioni e le minacce sono cresciute in un anno del 41% (Dati Ministero dell’Interno 2020-2021). Allo stesso tempo si registra una crescita esponenziale delle querele per diffamazione contro i giornalisti, con un pesante effetto intimidatorio e creando un serio ostacolo alla libera informazione. Sarebbe tempo che il Parlamento desse un segnale approvando le leggi ferme da troppo tempo al fine di dare un segnale concreto a favore della libertà di stampa. 

Ho avuto modo di recente di incontrare, insieme a molti direttori di autorevoli testate, la presidente del Parlamento Europea, Roberta Metsola, cui ho chiesto un sostegno su questi temi, e in particolare una “pressione” sul Parlamento italiano affinché sblocchi alcuni provvedimenti chiave che incidono sula libertà di stampa. Tra l’altro Metsola, che è maltese, ha ribadito la sua netta determinazione a portare avanti la proposta di Direttiva Europea per il contrasto alle querele temerarie contro i giornalisti (SLAPP). Dafne Caruana Galizia, prima di essere uccisa a Malta con una bomba, ne aveva 47. Oggi in Italia sono centinaia i colleghi che vivono sotto la spada di Damocle di procedimenti penali per diffamazione o richieste abnormi di risarcimento in sede civile. Una situazione ormai insostenibile e uno dei motivi principali che collocano l’Italia in fondo alla classifica della libertà di stampa nel mondo.

Sulla nostra testata UniTrentoMag parliamo in questi giorni di falso nell’arte, nella letteratura, nella storia. Un tema che interessa molto anche il giornalismo, alla luce delle fake news che proliferano soprattutto su web e social network. Un fenomeno che mette in crisi il ruolo di intermediazione dei media. Come possono i giornalisti mantenere la fiducia di chi cerca un'informazione attendibile? I cittadini sono davvero interessati - secondo Lei - a un’informazione corretta?

Il ruolo di mediazione del giornalista aumenta a fronte dell’aumentare delle fonti digitali e aumenta anche come alternativa alle fake news. Queste non sono un problema dei giornalisti, ma un problema sociale e di sicurezza, non solo in termini di ordine pubblico, ma anche sanitaria, economica e via dicendo. 

L’intervento per arginare il fenomeno è, e deve essere, complesso e articolato. Per quanto riguarda i giornalisti sicuramente possono contribuire a smontare quelle più evidenti, ma l’importanza del giornalismo oggi sta proprio nell’essere antidoto alle fake news. Nel senso che il prodotto giornalistico, qualunque sia la piattaforma o la modalità con cui viene veicolato, deve essere affidabile e di qualità

Su questi aspetti pendono, oltre al tema delle minacce, due variabili: quella del lavoro e quella dell’ordinamento professionale. Quella del lavoro rimanda al problema del crescente precariato e alla polverizzazione del lavoro giornalistico in un sistema editoriale anch’esso debole e frammentato, escludendo pochissimi grandi gruppi. Se il giornalista non ha garanzia di autonomia piena, difficile che il suo sia un prodotto di qualità.

L’altro aspetto riguarda l’arretratezza delle norme, ormai imbalsamate al 1963, un’altra era geologica. Dalla disciplina ai canali di accesso, alla farraginosità di tante procedure, le norme ormai troppo vecchie frenano i necessari processi di innovazione della professione che pure, con grandi sforzi nel campo della formazione, cerchiamo di portare avanti. È necessario che i nuovi profili del giornalismo siano al passo dei tempi per garantire una reale qualità e “solidità” dell’informazione.

I cittadini - i lettori, i fruitori o come vogliamo chiamarli - ci chiedono questo: qualità, affidabilità e sobrietà. Meno svolazzi e più concretezza. Sta a noi per primi lavorare per ricostruire un clima di fiducia con i cittadini, necessario per preservare la funzione costituzionale del giornalismo professionale, che è di primaria importanza per la democrazia.