Macerie dopo il terremoto. Foto Adobe Stock

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Terremoto in Turchia, sessanta giorni dopo

Ozgur Kaya, studente in Data science proveniente da Mardin, racconta la gestione dell'emergenza e la situazione attuale

5 aprile 2023
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di Lorenzo Perin
Studente collaboratore Ufficio stampa e relazioni esterne

Sono passati due mesi dal sisma che lo scorso 6 febbraio ha colpito la regione al confine fra Turchia e Siria. Un terremoto devastante che, secondo le stime più attendibili, ha provocato oltre 50mila morti, per non parlare delle centinaia di migliaia di persone costrette ad abbandonare la propria casa. Dal sud-est della Turchia, in particolare dalla città di Mardin, proviene Ozgur Kaya, studente al primo anno della magistrale in Data science. A lui abbiamo chiesto qual è la situazione in questo momento.

«Il terremoto – ci dice Ozgur – è stato qualcosa di devastante. Non so da quanti anni non si vedesse una cosa simile in Turchia. Adesso la situazione si sta stabilizzando, le scosse di assestamento sono sempre meno e sembra tutto più calmo».

Le criticità hanno riguardato anche la gestione dell’emergenza: «Inizialmente, il governo ha rifiutato gli aiuti internazionali perché il presidente Erdogan voleva dimostrare che la Turchia è un paese forte. Ma la realtà è ben diversa: siamo un paese disorganizzato e  gli aiuti tardano ad arrivare. Pensate che circa vent’anni fa il governo ha fissato una tassa da destinare a spese legate a futuri, eventuali terremoti. Ebbene, nella mia città la gente ha dovuto comprare dallo Stato le tende in cui dormire nei giorni successivi al sisma; io penso che in un paese come l’Italia queste tende sarebbero state fornite gratuitamente e immediatamente dalla Protezione civile. Per fortuna, dopo pochi giorni, il governo ha deciso di accettare gli aiuti dall’estero. Se non ci sentiamo soli, è proprio grazie all’Unione europea e alle organizzazioni internazionali. Dobbiamo ringraziare in particolare l’Italia: ho saputo che, subito dopo il terremoto, 40-50 volontari sono partiti da qui per portare aiuto in Anatolia».

La famiglia e gli amici di Ozgur si sono salvati e stanno bene, ma la preoccupazione è stata tanta: «Nei giorni successivi al terremoto, la connessione telefonica era completamente assente e era molto difficile mettersi in contatto con chi si trovava nelle zone terremotate. La frustrazione di non poter essere lì con i miei genitori era enorme. Ero ancora sotto esami, ma avrei voluto a tutti i costi tornare a casa. Tuttavia, la mia famiglia per prima, appena siamo riusciti a metterci in contatto, mi ha detto di rimanere a Trento: sarebbe stato più sicuro per me e non avrei potuto far molto in Turchia».

Su Mardin, la città del sud-est della Turchia da cui proviene, Ozgur ha un ricordo vivo e affettuoso: «L’aggettivo forse più adeguato per descriverla è "speciale". So che chiunque probabilmente descriverebbe così la propria città, ma in questo caso ci sono tutte le ragioni: è una città dalla storia antichissima, che affonda le sue radici nella cultura mesopotamica. Negli anni è passata sotto il controllo di tantissimi popoli, dagli ittiti ai romani ai persiani e agli arabi. Oggi è una città multiculturale, in cui convivono curdi (come me), siriaci e arabi, oltre che ovviamente turchi. Questa varietà è sicuramente un bel valore, anche se bisogna ammettere che non mancano le tensioni: sappiamo tutti che storicamente i curdi e i turchi non sono esattamente "popoli amici" e il presidente Erdogan non facilita la convivenza».

UniTrento per la Turchia
Nelle ore successive al sisma, l’Università di Trento ha espresso solidarietà e vicinanza alle popolazioni turche e siriane. Il pensiero del rettore e della comunità universitaria tutta è andato in particolare agli studenti e alle studentesse che provengono dalle zone terremotate. UniTrento ha quindi rilanciato la campagna di Croce Rossa e Mezzaluna Rossa a favore delle popolazioni terremotate. È ancora possibile donare seguendo le indicazioni a questa pagina.