Il gruppo di lavoro dell' ODF Lab | foto archivio Università di Trento

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AFFRONTARE L’AUTISMO CON IL LAVORO DI SQUADRA

Diagnosi e intervento precoce, ma soprattutto un ambiente adatto intorno al bambino affetto da questa patologia: sono questi gli ingredienti che possono portare a risultati sorprendenti

21 novembre 2014
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Daniela Costantini
di Daniela Costantini
Lavora presso la Divisione Comunicazione ed Eventi dell’Università di Trento.

Abbiamo rivolto qualche domanda su questo tipo di patologia alla professoressa Paola Venuti, docente di Psicopatologia clinica e responsabile del Laboratorio di Osservazione Diagnosi Formazione (ODF Lab) dell’Università di Trento.

Autismo o autismi: di cosa si tratta e qual è la definizione corretta?

Il disturbo dello spettro autistico ha origine da una compromissione del neurosviluppo che coinvolge le abilità di comunicazione e di socializzazione, e sono in generale associati a comportamenti inusuali (ad esempio comportamenti ripetitivi o stereotipati).
Si definiscono diverse gravità nelle manifestazioni, che in ogni caso coinvolgono difficoltà nell'aspetto comunicativo e sociale oltre alla presenza di interessi ristretti, e difficoltà sensoriali. 
Tali manifestazioni dipendono da differenti alterazioni del cervello che colpiscono  aree diverse, da qui la definizione di autismi, perché non sono appunto riconducibili ad un'unica causa e ad un'unica alterazione.
I disturbi si evidenziano a partire dal secondo anno di vita del bambino, ma già durante i primi dodici mesi è possibile, ad un occhio attento, vedere dei segni distintivi e indicativi, che sono individuati come indicatori precoci. Si tratta di segnali di allarme, che andrebbero indagati e che non necessariamente confluiscono poi nella patologia vera a propria; ad esempio la gestualità ed in particolare l’indicazione, l’orientamento visivo ma anche il pianto e il movimento, studiati nel nostro laboratorio.

A che punto è la ricerca in questo campo?

La ricerca, rispetto a studi di causalità genetica dell'autismo, non ha fatto grandi progressi. Ciò che si sa è che si tratta di una patologia genetica, ma non si è ancora riusciti ad individuare il gene o i geni che alterano il corretto funzionamento del cervello. Ci sono una serie di geni responsabili, ma la causa è un frammisto di aspetti sia genetici che ambientali (non è paragonabile, ad esempio, alla trisomia 21). 
Il grande e vero progresso è avvenuto invece nello studio e nell’individuazione degli indicatori precoci: fino a qualche anno fa non si arrivava a fare una diagnosi prima dei quattro anni di vita, mentre oggi è possibile osservare i primi fattori indicativi di una alterazione già verso i 14/18 mesi.

Quali sono le principali attività del Laboratorio di Osservazione Diagnosi e Formazione (ODFLab) - unità operativa del Dipartimento di Psicologia e Scienze Cognitive dell’Università degli Studi di Trento?

Il nostro laboratorio già da diversi anni si è focalizzato sulla ricerca e sull'individuazione dei fattori precoci, concentrando il lavoro sia sul pianto che sul movimento dei bambini autistici:

  • il pianto dei bambini con autismo ha uno spettrogramma diverso da quello dei bambini con sviluppo tipico, ciò significa che la frequenza fondamentale, rappresentata dal picco del pianto, è molto alta e statica, poco mutevole e modulata. Questo ne rende difficile la comprensione e l’interpretazione da parte degli adulti, provocando di conseguenza risposte spesso non adeguate alle richieste del bambino, generando frustrazione da entrambe le parti.Quindi proprio la prima relazione tra madre (o padre) e bambino – che è strutturata sul pianto – nei piccoli affetti da autismo risulta alterata;
  • alterazioni nel movimento possono essere osservate già a partire dai 5 mesi di vita, quando si può notare asimmetria negli arti e nella postura, che permane anche in età successive (quando iniziano a stare seduti e quando cominciano a muovere i primi passi).

La diagnosi precoce è fondamentale: siamo stati abituati, fino a qualche tempo fa, a pensare all'autismo come ad una patologia dalla “gravità infinita”, perché la diagnosi veniva fatta molto tardi, quando erano già compromessi tutta una serie di interventi migliorativi, come ad esempio quello relativo alla competenza linguistica.
Da quando si è anticipata la diagnosi è possibile assistere a un recupero delle competenze straordinario: un dato importante è che una decina di anni fa si diceva che nel 75% dei casi era accompagnato da ritardo mentale: oggi questa percentuale si è ridotta al 50%. 
Prima si arriva ad una corretta diagnosi, prima si può iniziare a lavorare con il bambino, che ha un cervello plastico e ricettivo, e con il quale si possono mettere in atto comportamenti e stimolazioni – interattive e relazionali – adeguate.

Quali sono e quali dovrebbero essere i percorsi e le opportunità formative per gli operatori del settore?

L’Istituto superiore di sanità, così come molte regioni italiane, ogni anno attiva dei corsi di formazione per i pediatri: occorrerebbe potenziarli e renderli stabili, associando attività di screening e prevenzione, data l’importanza della tempistica nella diagnosi di disturbi dello spettro autistico. Ci sono in realtà poche cose da osservare, ma il pediatra dovrebbe poter essere in grado di farlo il prima possibile e, nel caso, rimandare le famiglie a centri specializzati. 
Il percorso inoltre dovrebbe essere esteso a tutti gli operatori degli asili nido e scuole dell’infanzia: è importante coinvolgere il personale che opera quotidianamente con i bambini, se pensiamo che i trattamenti psico-educativi dovrebbero essere eseguiti, il prima possibile per intensificarne l’efficacia, per 5 o 6 ore al giorno quindi prevalentemente all’interno di queste strutture.
Proprio in Trentino il nostro laboratorio, insieme all’IPRASE e alla Provincia autonoma, ha messo in atto qualche tempo fa un percorso di formazione  con le scuole primarie e secondarie di primo e secondo grado: bambini affetti da autismo inseriti in differenti classi, sono stati seguiti per una durata di quattro anni, con un programma di formazione degli insegnanti prima, monitoraggio e rimodulazione periodica degli interventi successivamente, durante tutto l’anno scolastico, raggiungendo risultati notevoli.
Questo dimostra quanto sia importante avere la possibilità di costruire intorno al bambino, con tutte le persone coinvolte (famiglia, scuola) in un effettivo lavoro di squadra, un ambiente terapeutico adeguato, che evita di dover lavorare in maniera intensiva e unidirezionale con i pazienti, riducendo il tempo di risposta e di miglioramento delle diverse competenze cognitive e comportamentali. L’obiettivo è quello di far sì che il ruolo dell’esperto diventi di coordinamento e di follow-up, diminuendo progressivamente anche la sua presenza.

Sempre a proposito di formazione: si sono aperte da poco le iscrizioni al Master di I livello in “Metodologie di intervento educativo per soggetti con disturbi dello spettro autistico”, a chi si rivolge?

Siamo alla terza edizione di questo corso che è altamente professionalizzante ed è presente solo in Trentino. Nelle scorse edizioni hanno partecipato differenti figure sociali (educatori, psicologi, insegnanti), cioè figure che hanno in qualche modo attinenza con l’autismo. La seconda edizione ha visto la partecipazione in un buon numero di persone provenienti da fuori regione, all’incirca una decina su un totale di 27 iscritti.

L’estate scorsa il vostro laboratorio ha dato vita al progetto “Terapia in vacanza”, un’iniziativa unica nel suo genere. Ce ne vuole parlare?

Questo progetto è stato da un lato un’esperienza di lavoro terapeutico intensivo fatto con bambini con disturbi dello spettro autistico in un contesto vacanziero, dall’altro ha avuto finalità di essere un supporto alle famiglie partecipanti: l’estate rappresenta un momento duro, faticoso per i genitori, dovuto alla chiusura delle scuole e i centri di cura, e agli operatori in vacanza.
Gli operatori del centro seguivano un gruppo di bambini con differenti gradi e tipologie di autismo in un contesto differente da quello di laboratorio, più vacanziero da una parte e inclusivo dall'altra, dato che la giornata era vissuta insieme a bambini con sviluppo tipico, che partecipavano alla “Scuola del Bosco”. Questo ha permesso ai genitori di vivere la vacanza con un po’ di relax.
È stata una bella esperienza per tutti: genitori, operatori e bambini; i bambini in particolare hanno acquisito competenze nuove e inaspettate, raggiungendo risultati molto positivi.