Foto del gruppo di ricerca, di Alessio Coser, archivio CIBIO

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CERVELLI CHE RESTANO

Team di ricerca del CIBIO alla scoperta di una difesa naturale contro il virus dell’HIV. Intervista alla ricercatrice Serena Ziglio

9 marzo 2016
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Daniela Costantini
di Daniela Costantini
Lavora presso la Divisione Comunicazione ed Eventi dell’Università di Trento.

Un gruppo di ricerca del CIBIO ha scoperto una difesa naturale contro l’HIV. Una ricerca condotta da Massimo Pizzato e dal suo gruppo, i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista scientifica "Nature", che apre ora nuove prospettive. Abbiamo intervistato Serena Ziglio, membro del team, Serena Ziglioche, a differenza di altri ricercatori, ha deciso di rimanere in Italia e continuare all’Università di Trento il suo lavoro scientifico.

Con il vostro gruppo avete trovato un rimedio naturale contro l’Aids, una scoperta che potrebbe cambiare radicalmente la ricerca su questo virus. Ci racconta come è avvenuta?

Questa scoperta è stata il coronamento di un lavoro di ricerca molto lungo, cominciato 15 anni fa dal professor Massimo Pizzato, il mio responsabile. Io e i miei colleghi abbiamo avuto la fortuna di unirci a lui al momento giusto (circa 3 anni fa) e nel posto giusto: dopo lunghe peregrinazioni attraverso prestigiose università internazionali, approdare al CIBIO ha permesso a questo progetto di trovare le tecnologie e l'ambiente adeguati a fornire le risposte che si stavano cercando da tempo. Da 20 anni infatti era noto che il virus dell'HIV fosse dotato di una proteina, chiamata NEF, indispensabile per rendere il virus infettivo, ma non si era mai riusciti a capire cosa facesse esattamente e perché fosse così importante per la propagazione del virus. Il nostro lavoro di ricerca ha permesso di svelare questo lungo mistero, dimostrando che NEF è necessario al virus per contrastare SER5. E cos'è SER5? È una proteina che ricopre la membrana delle nostre cellule, agendo come una sorta di barriera protettiva, e di cui non si sapeva praticamente nulla fino ad oggi.

Secondo lei, quando i pazienti potranno fruire di una vera e propria terapia?

È difficile a dirsi. Noi ci occupiamo di ricerca di base, studiamo i meccanismi responsabili delle patologie e cerchiamo di capire come gli attori di questi meccanismi interagiscono fra di loro per poter mettere in luce nuovi possibili target terapeutici. E questo è quello che abbiamo fatto: abbiamo messo a disposizione della comunità scientifica un nuovo “tallone di Achille” del virus. Per ora il virus ha ancora la meglio perché, essendo dotato di NEF, è in grado di eludere SER5, questa difesa innata di cui ognuno di noi è dotato.
Rimane da capire come sfruttare a nostro favore questa nuova informazione. Ad esempio sarebbe interessante capire nel dettaglio come NEF interagisce con SER5 per poter bloccare questa interazione. Ma sono necessari fondi e tempo. Se anche oggi stesso riuscissimo a mettere a punto un farmaco in grado di potenziare SER5, ci vorrebbe comunque una decina di anni per superare tutti i test clinici necessari per immetterlo sul mercato.

Il suo è un team quasi tutto in rosa. Quali sono i vantaggi e gli svantaggi di lavorare tra donne?

Sorrido perché questa domanda mi è stata posta più di una volta, spesso insinuando che i rapporti fra donne possano essere più tesi e competitivi rispetto a quelli fra uomini. Che brutta reputazione che ci siamo costruite! Smentiamolo subito, dicendo che noi come gruppo funzioniamo bene.
Riguardo ai vantaggi e agli svantaggi di un team al femminile, se proprio devo generalizzare, mi pare di notare che nel nostro lavoro le donne tendano a essere più puntigliose e rigorose: a volte questo perfezionismo è utile e funzionale, altre volte meno e un approccio più concreto, anche se meno preciso, può aiutare a non perdere di vista le cose che contano davvero. Siamo tendenzialmente più ordinate, credo per il maggior senso del dovere che ci caratterizza, però di contro tendiamo poi a farlo notare a chi lo è meno.

Solitamente, per chi vuole perseguire una carriera fondata sulla ricerca, l’estero è una scelta quasi obbligata. Cosa l’avrebbe trattenuta, quindi, nel suo Paese e in particolare all'Università di Trento?

Beh, mentirei se non dicessi che la scelta è stata dettata in parte anche da motivi familiari: mio marito viveva qui mentre io svolgevo il dottorato in Spagna e quando è stato il momento di cercare una posizione post-doc ho cercato anche vicino a casa. Detto questo, non avrei considerato questa possibilità se il CIBIO non avesse avuto certe caratteristiche: a me avevano attirato l'ambiente internazionale, la giovane età dei group leaders e la disponibilità di facilities specializzate nell'utilizzo di particolari tecnologie. Lavorare in un centro all'avanguardia è senz'altro importante, in ogni caso credo che alla fine quello che fa veramente la differenza è la persona che guida la tua ricerca. Il nostro lavoro richiede dedizione, forza di volontà, capacità di cambiare continuamente le proprie ipotesi e aggiustare il tiro in base ai risultati che si ottengono. Non è sempre facile, soprattutto quando i conti non tornano e magari è l'ennesima volta che ripeti un esperimento. In questi momenti è fondamentale avere una persona che oltre all'esperienza e al suggerimento tecnico ti sappia sostenere e incoraggiare, mantenendo viva la motivazione.

Ci racconta una giornata tipo da ricercatrice al CIBIO?

Arrivo in laboratorio verso le 8.30, accendo il computer e controllo velocemente le mail. Poi pianifico la mia giornata, penso agli esperimenti che devo fare e valuto come organizzarmi al meglio: i protocolli sono spesso lunghi e per non perdere tempo è necessario portare avanti più esperimenti contemporaneamente sfruttando i tempi morti di uno per procedere con gli altri. Se necessario mi confronto con Massimo [Pizzato, ndr] su alcuni dettagli tecnici, controllo di avere a disposizione tutti i reagenti di cui ho bisogno e poi parto con gli esperimenti.
Buona parte della giornata trascorre in quella che chiamiamo la “stanza cellule”, un laboratorio dove è possibile coltivare in condizioni sterili le cellule, che sono il nostro sistema sperimentale di riferimento: questo è il posto dove nascono gli esperimenti, dove le cellule vengono trattate e fatte crescere in diverse condizioni a seconda di quello che vogliamo studiare.