Sopra Bernardi, Bordoni; sotto Gallo, Piazzalunga.

Storie

Donne che si raccontano

Docenti, ricercatrici, studiose, cittadine del mondo

5 marzo 2021
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In vista della Giornata internazionale sulla donna, abbiamo chiesto ad alcune docenti e ricercatrici del nostro Ateneo di scrivere poche righe per raccontare la loro esperienza. Queste le loro testimonianze.

Famiglia e lavoro: un connubio stimolante
Raffaella Bernardi

Bilanciare l’impegno tra famiglia e lavoro è per me una sfida teoricamente impossibile, ma nei fatti realizzabile. La pandemia ha inizialmente esasperato il delicato equilibrio di queste due componenti fondamentali della mia vita che proteggevo l’una dall’altra tenendole separate, ma con il tempo le ha rese un’unica cosa. 

Ho imparato a condividere con la mia famiglia i miei successi, le mie sconfitte, gli ostacoli, l’entusiasmo di una nuova idea, la fatica di portarla avanti, dargli una forma e il piacere di vederla realizzata. Ho imparato a capire che ho la fortuna di poter dire a mia figlia che lavoro perché il mio lavoro è importante per me, perché mi soddisfa, mi arricchisce e stimola. Ho imparato che devo vivere serenamente il mio impegno e passione nel lavoro, perché così facendo do a mia figlia la possibilità di vivere in futuro una vita in cui non si senta in colpa di dividere il tempo tra famiglia e lavoro, perché saprà già che è bello e giusto così.

Il mio lavoro negli ultimi anni si è concentrato sullo studio di modelli computazionali del linguaggio e della visione, su cosa un modello debba saper fare per simulare l’intelligenza umana, per simulare l’acquisizione del linguaggio nei bambini. Interessandomi a queste tematiche, inevitabilmente mi trovo a vivere un connubio perfetto tra ciò che studio e ciò che vedo in casa. Non so se sia un caso o se l’esperienza di diventare mamma abbia in realtà contribuito a forgiare i miei interessi scientifici. Per cui direi che quello che vivevo inizialmente come una sfida impossibile è diventata una realtà stimolante.

Da Caltech a UniTrento conciliando famiglia e carriera
Simona Bordoni

Il percorso che mi ha portato all’Università di Trento come professoressa di Fisica dell’Atmosfera è stato il frutto di scelte ponderate, ma anche di eventi fortuiti e fortunati. Dopo una tesi di laurea in fisica dello stato solido all’Università di Roma Tor Vergata, ho scoperto la meteorologia e le scienze climatiche grazie a un’esperienza lavorativa nel settore della rivendita ed installazione di strumentazione per applicazioni meteorologiche. 

Rimasi affascinata e incuriosita dal primo lancio di un pallone-sonda a cui ebbi la fortuna di assistere, e da lì decisi di volerne sapere di più; decisione che mi portò a varcare l’oceano per conseguire un dottorato in Scienze dell’atmosfera all’Università della California a Los Angeles (UCLA). Dopo dieci anni come professoressa al Caltech, e quasi un ventennio negli Stati Uniti, sono rientrata in Italia nel 2019 per contribuire, attraverso i miei insegnamenti e le mie ricerche, sia alla laurea magistrale in Meteorologia ambientale, nata dalla collaborazione del nostro Ateneo con l’Università di Innsbruck, sia alla comunità scientifica italiana che studia i cambiamenti climatici. 

Malgrado non sia sempre facile, sono stata in grado (almeno finora!) di conciliare la mia carriera accademica con la vita famigliare: sono infatti la mamma di due splendidi figli, Francesco di 15 anni e Jacopo di 11.

Solidarietà scientifica: accogliere ricercatrici (e ricercatori) in esilio
Ester Gallo

Sono un’antropologa di formazione, con un interesse verso lo studio del colonialismo e la memoria, delle migrazioni internazionali e dei fenomeni religiosi. Ho condotto ricerca etnografica in India, in Italia e in Turchia, e ho lavorato a lungo all’estero. 

Sono arrivata a Trento nel 2016 dalla Turchia, in un momento in cui molti membri delle comunità universitarie dovevano lasciare il paese a seguito del colpo di stato e delle ritorsioni del governo di R.T. Erdoğan contro il mondo accademico. Questo mi ha portato ad interessarmi alla libertà accademica e a promuovere, assieme a colleghe e colleghi di Trento e di altri atenei, le attività di Scholars at Risk Italia

I regimi autoritari e i conflitti colpiscono le università in molti modi – uccisioni, sparizioni, arresti e persecuzioni, licenziamenti e restrizioni sul piano della mobilità – e coinvolgono soggetti diversi per classe, età, genere e appartenenza etnico-religiosa. Tuttavia, sono spesso le giovani ricercatrici che incontrano maggiore difficoltà a continuare l’attività scientifica e a ricostruire la propria carriera. SAR Italia cerca di dare un contributo, istituendo borse di ricerca temporanee al fine di accogliere studiose (e studiosi) in esilio e di valorizzarne le potenzialità nella ricerca e nell’insegnamento. La solidarietà scientifica è un elemento fondamentale del principio di libertà accademica, e dovrebbe avere maggiore centralità nei programmi di terza missione e internazionalizzazione dell’università italiana. 

Dalla parte delle bambine
Daniela Piazzalunga

Sono ricercatrice di Economia all’Università di Trento, dopo alcuni anni come ricercatrice alla Fondazione Bruno Kessler e un dottorato all’Università di Torino. Mi occupo di economia del lavoro, con particolare attenzione alle differenze di genere. Il percorso che mi ha portato a diventare ricercatrice in questo ambito non è stato lineare: mi sono appassionata all’economia durante la laurea magistrale in Cooperazione allo Sviluppo, grazie alla professoressa Maria Laura Di Tommaso che teneva il corso “Genere e povertà”. Da allora non ho più smesso di occuparmi di diseguaglianze di genere, né di collaborare con lei.

Insieme a lei e altre coautrici (Dalit Contini, Dalila De Rosa, Francesca Ferrara e Ornella Robutti), ho appena concluso un progetto che mira a ridurre il divario di genere in matematica nella scuola primaria. L’Italia è uno dei paesi Ocse con il maggior divario a 9 e a 15 anni; le differenze aumentano con l’età, ma sono presenti già a sette anni. Tra le cause più importanti ci sono gli stereotipi che, involontariamente, genitori, insegnanti e più in generale la società trasmettono alle bambine. Purtroppo questa disparità ha ripercussioni importanti, influenzando le scelte universitarie, quando le ragazze optano con minor probabilità per discipline scientifiche ed economiche, fattore che contribuisce poi allo svantaggio femminile nell’accesso al lavoro e nel salario.

La nostra ricerca mira a capire se diverse metodologie di insegnamento possano ridurre il gap in matematica, attraverso uno studio controllato randomizzato. I risultati sono promettenti: metodologie di apprendimento attivo comportano un miglioramento nei risultati in matematica delle bambine di terza primaria, con una riduzione del divario di genere del 40%.