Storie

“A piedi nudi in paradiso…”

L’importanza del lavoro integrato di professionisti e rete familiare e amicale nella malattia

12 maggio 2016
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Annamaria Perino
Annamaria Perino
Professore aggregato del Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale di Ateneo

Si è parlato di malattia e di sofferenza ma anche di amore e di speranza, al Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale, in occasione del seminario organizzato nell’ambito del corso di Metodi e tecniche del lavoro nei servizi sociali. Ospiti Sara e Antonio Gabrieli, genitori di Giulia, una quattordicenne lombarda che ha voluto lasciare una traccia significativa del vissuto della sua malattia, e Nazareno Cortinovis, curatore del video-testimonianza proiettato in aula.

L’evento, inserito tra le attività di un corso che affronta il tema della integrazione socio-sanitaria e si propone di individuare soluzioni finalizzate a promuoverla, oltre a voler sottolineare l’importanza che i fattori sociali e relazionali giocano nella gestione della malattia, ha voluto mettere in evidenza che anche eventi molto traumatici possono essere vissuti con serenità e ottimismo.
Giulia è una ragazza come tante - allegra e solare - che, improvvisamente, scopre di avere un sarcoma. La peculiarità della sua storia riguarda il modo in cui Giulia decide di vivere la sua malattia (che lei stessa definisce “un’avventura”), nella connotazione che la ragazza fa assumere alla stessa attraverso le numerose testimonianze che fornisce (gli incontri con i giovani, il libro, il video) e i messaggi che – con estrema determinazione e convinzione – lancia a chi ascolta, quasi a voler “far dono” della sua esperienza. 

Il racconto di Giulia non è una storia triste che vuole impietosire gli spettatori: è una storia che provoca emozioni e fa riflettere. Si rimane stupiti dalla forza, dalla lucidità e dall’ottimismo di una ragazza che, pur essendo provata da una malattia tanto seria quanto implacabile, riesce ad inviare messaggi diretti e concreti e – al contempo – colmi di positività e di speranza; una sorta di invito a vivere la vita in maniera completa e fino in fondo.

Si prende atto del fatto che la gestione della malattia – a maggior ragione quella terminale – necessita non solo di cure di tipo sanitario, ma di cure integrate e di un approccio globale, che “avvolga” la persona dal punto di vista fisico e psicologico. Poter fare ciò che si desidera, stare con le persone a cui si vuole bene, condividere i propri stati d’animo, dare spazio alle proprie emozioni, essere trattati “umanamente”, sono tutte attenzioni che riescono ad alleviare il peso della malattia e a depotenziare la forza del cosiddetto “dolore globale”, proprio del malato terminale.
La testimonianza di Giulia e dei suoi familiari rende chiaramente conto dell’utilità della medicina narrativa quale strumento che agevola la comunicazione e la condivisione di sensazioni ed emozioni legate al vissuto personale/familiare della malattia e consente di creare un ponte tra sapere esperto (operatori sanitari e sociali) e sapere inesperto (pazienti e caregiver). Ci fa riflettere sull’importanza del lavoro integrato tra diversi professionisti (operatori sociali, sanitari, insegnanti, ecc.) e tra servizi residenziali e territoriali (significativa, al proposito, l’esperienza della scuola in ospedale). Sottolinea inoltre il ruolo che, nei percorsi di cura, assumono le reti di sostegno informali, in particolare la rete familiare e quella amicale e la necessità di adottare approcci terapeutico-assistenziali che lascino spazio all’empatia e che promuovano il rispetto e l’autodeterminazione della persona malata.

Last but not least, la storia di Giulia mostra con chiarezza che la cura degli aspetti spirituali permette di affrontare il percorso terapeutico con maggiore serenità. La fede che Giulia ripone nel Signore la induce a immaginare - con estrema tranquillità e naturalezza - anche il momento della morte, che non è vista come evento irrimediabile, ma come una “possibilità”. Credo che non si possa non chiudere il racconto di questa intensa storia con l’immagine – dolce e lieve – della ragazza che, a piedi nudi, cammina tra le nuvole assaporandone il contatto: «Io mi immagino un pavimento pieno di nuvole. Non vi viene voglia di camminarci a piedi nudi?»