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Vita universitaria

Allenamenti internazionali per giovani informatici

Dopo il successo nel Google Hash Code un gruppo di studenti e studentesse del DISI partecipa a CodeVsCovid19

20 aprile 2020
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Mirta Alberti
di Mirta Alberti
Responsabile Progetti speciali, Università di Trento.

Al di là dei problemi causati dal coronavirus, l’emergenza è anche l’occasione per liberare energie positive. Nel weekend del 27-29 marzo tre diversi eventi hackathon hanno chiamato a raccolta sviluppatori da tutto il mondo per affrontare i problemi legati alla pandemia. Avvisati dai canali telegram gestiti dal professor Alberto Montresor, studenti e studentesse del Dipartimento di Ingegneria e Scienza dell’Informazione (DISI) si sono subito attivati per dare il loro contributo a CodeVsCovid19, un evento organizzato dal Politecnico di Zurigo con oltre 1700 partecipanti da tutto il mondo. 

Davide, che ha partecipato insieme ad Elena, Marco, Alessandro, Davide e Alessandro, racconta la sua esperienza: “L'idea che abbiamo sviluppato cerca di migliorare la comunicazione tra personale della terapia intensiva e i parenti dei pazienti ricoverati. In questo momento, per limitare i contagi, le visite non sono possibili e le comunicazioni alle famiglie sono solamente telefoniche, spesso riguardanti solo la guarigione o il decesso. Abbiamo quindi realizzato un canale di comunicazione continuo dei dati sanitari del paziente alle famiglie (conforme alle leggi sulla privacy) da parte di medici e infermieri. Siamo arrivati tra i primi 25 team (su 306) e questo ci permette di ottenere supporto per sviluppi futuri.”
Anche Eugenio e Nicola hanno partecipato a una delle iniziative: “Abbiamo lavorato con un team internazionale di matematici, biologi e informatici. Lo scopo era ricavare dati riguardanti la cronologia di infezione in ogni Paese, le rispettive risorse mediche e ospedaliere e la previsione dell’evolversi del contagio tenendo in considerazione le locali risorse disponibili, suggerendo anche scambi di risorse tra Paesi. La classifica ci vede 11esimi con possibilità di sviluppo del progetto”. 
Giulia e Matteo: “Noi non abbiamo vinto niente, ma nel complesso è stata un'esperienza molto positiva e stimolante. Vorremmo provare a continuare per ottenere una versione funzionante dell’applicazione che abbiamo presentato.”

La passione per questo tipo di allenamenti ha radici profonde all’interno del Dipartimento di Ingegneria e Scienza dell’Informazione, che organizza hackathon da oltre 10 anni. Lo scorso 20 febbraio, poco prima dell'emergenza Covid-19,  si era svolto uno tra i più amati e attesi eventi dell’anno: Hash Code, una competizione organizzata da Google dove squadre di 2-4 studenti e studentesse competono per risolvere un problema algoritmico nel tempo limite di quattro ore. La partecipazione avviene nei cosiddetti “hub”, organizzati da università, aziende e associazioni in tutto il mondo. Mentore e motore di questi eventi è il professor Alberto Montresor, che da quattro anni organizza l’hub dell’Università di Trento, con numeri sempre più consistenti: quest’anno, 144 studenti divisi in 42 squadre.

Perché questi eventi hanno un così grande successo?
“Riuscire ad impattare positivamente le persone con quello che facciamo è un onore, e Google Hash Code si dimostra ogni anno un piccolo assaggio di ciò che si può creare applicando le skill e le conoscenze imparate durante le lezioni a problemi della vita reale;” dice Markus e continua “dal punto di vista tecnico è una gara molto difficile, nel senso che i problemi sono molto tosti, il tempo è poco, si gareggia contro i migliori programmatori al mondo.”
Diverse le strategie messe in campo dai singoli gruppi, alcuni formati per quella occasione, altri fidelizzati nel corso degli anni: “Questo è stato il terzo Google Hash Code a cui partecipo con il mio gruppo di amici, racconta Simone, e quindi non appena è partito il cronometro ci siamo messi tutti al lavoro, utilizzando la nostra tecnica ottimizzata nelle precedenti edizioni. Nella prima fase ognuno di noi tre ha lavorato in autonomia su una parte specifica della sfida: un programmatore ha disegnato le strutture dati base, un altro componente ha svolto delle analisi statistiche sui dati e io ho cercato di pensare a qualche algoritmo di base. Successivamente abbiamo unito il nostro lavoro e iniziato un ciclo di invio della nostra soluzione e successiva ottimizzazione”. 

Un ulteriore elemento che spinge studenti e studentesse a mettersi in gioco è il clima della competizione:
Quello che trovo di affascinante nell'Hash Code, e soprattutto di svolgerlo nell'Hub di Trento, è l'atmosfera di competizione che si sente nell'aria”, dice Simone, e Francesco conferma “si gioca a squadre, e si è ‘costretti’ a interagire intensamente con i compagni di squadra, da soli semplicemente non ci si fa…”
Anche Sara è d'accordo: “Come ogni anno è stata un’esperienza fantastica, che ci ha arricchito tanto, e allo stesso tempo divertito. È stato bello mettersi in gioco, confrontandosi con partecipanti da tutto il mondo”.
 
Ancora Francesco: “È una competizione che cambia la nostra prospettiva sull’università, forse perché la gara si svolge di sera quando di solito l’università è chiusa. Viene comunicata l’idea che l’università non è solo un posto in cui seguire lezioni ed esami, ma anche un luogo in cui condividere le proprie passioni con altri ragazzi e ragazze.” E Davide aggiunge: “Grazie per averci fatto scoprire questi eventi e per continuare a spronarci a vivere l'università oltre allo studio, anche con queste esperienze”.
Il professor Alberto Montresor segue con passione i partecipanti e commenta con soddisfazione il risultato di quest’anno: “Le nostre squadre, collettivamente, sono arrivate al secondo posto nel mondo. Questo risultato ‘corale’ mi rende particolarmente soddisfatto: hanno consegnato il lavoro 40 squadre su 42, dimostrando che la loro preparazione e competenza li rende adatti a risolvere i problemi più complessi del mondo reale.”