Una città fatta di libri. Foto da Adobe Stock

Formazione

Di scoiattoli, tartarughe e conchiglie. Nel mondo di Italo Calvino

Il Seminario internazionale sul romanzo ospita Domenico Scarpa

14 febbraio 2024
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di Sara Carneri
Ufficio eventi

Quando scriveva i suoi libri, quando faceva quelle costruzioni così azzardate, Calvino aveva paura di sbagliare? Sì. Si divertiva a farle? Sì. Domenico Scarpa lo dice con voce ferma. Promossi dal Dipartimento di Lettere e Filosofia dell'Università di Trento, nei giorni scorsi sono stati due gli appuntamenti con Domenico Scarpa e il suo “Calvino fa la conchiglia”, a Bolzano. Gli incontri fanno parte del Seminario internazionale sul romanzo (Sir), giunto alla sedicesima edizione e, quest’anno per la prima volta, con un ciclo interamente dedicato alle scuole e uno, in partenza a marzo 2024, aperto alla cittadinanza. UniTrentoMag, in dialogo con Domenico Scarpa su Calvino.

Leggendo il suo libro ho cominciato dalla fine. Mi ha colpito “La tartaruga e lo scoiattolo” e i ricordi di alcuni amici scrittori, tra cui Carlo Fruttero e Natalia Ginzburg. Da dove viene lo scoiattolo?

Domenico Scarpa«C’è un’immagine famosissima di Calvino come scoiattolo ed è quella di Cesare Pavese, nel 1947. Calvino fa questo primo romanzo perché Pavese e Vittorini lo costringono a farlo, in buona sostanza. Lui si sente un autore di racconti brevi e i suoi amici, in casa editrice, gli dicono che i racconti non si vendono. Perciò lui fa un romanzo. Vittorini rimane un po’ dubbioso, Pavese si entusiasma e lo pubblicano. E fa una cosa – Pavese – che non fa quasi mai, fa la recensione di un debuttante. E scrive un articolo sull’Unità dove dice più o meno così: Calvino, scoiattolo della penna, ha imparato ad arrampicarsi sulle piante e a vedere la vita come una favola di bosco. E sembra quasi che Pavese, nel 1947, preveda il Barone rampante che arriverà solo dieci anni dopo. Qui invece – alla fine del libro - non si parla dello scoiattolo di Pavese. Volevo chiudere con due immagini di Calvino che fossero, da una parte, molto concrete, minuziose, realistiche e, dall’altra, affettuose. Volevo che da questi due ricordi – di Natalia Ginzburg e Carlo Fruttero – apparentemente così quotidiani, venisse fuori un’immagine complessiva dello scrittore. In quello di Natalia Ginzburg è uno scrittore fantasioso alla fine, così com’era fantasioso all’inizio. Uno che pensava alle tartarughe, ai lampadari, che scherzava con la figlia e col medico che lo stava curando. Nel caso di Fruttero c’è questa casa vuota e Calvino dov’è? Fruttero non lo dice ma in fondo la presenza di quello scoiattolo è un po’ come se fosse lo spirito di Calvino. Se fosse "atterrito o felice" non ci è dato saperlo».

All’inizio del suo libro dice che la suspense difficilmente si ammette in un saggio. Lei è un professore, quante libertà si è preso?

«Ho insegnato e fatto ricerca per tanti anni. Ciò non toglie che, in questo libro, desiderassi mantenere il rigore scientifico e filologico più assoluto e al contempo che la pagina fosse libera e capace di parlare ai lettori. Avevo voglia di un’opera che fosse scientifica e parlasse a tutti. Il che significava accompagnare il lettore come si fa con un accompagnamento musicale».

Nel retro di copertina, lei riporta delle domande. "Durante la sua vita, per quante volte esordisce Calvino? Per quante volte torna ad essere giovane o bambino senza apparire giovanilistico né bambinesco?" Che risposte si è dato?

«Calvino non si è mai accontentato del talento che aveva. Stiamo parlando di un narratore che pur di dire ogni volta qualcosa di nuovo, agiva quasi contro il proprio talento, per metterlo all’angolo e per costringerlo a dire qualcosa di più. E il fatto di porsi questa domanda – quante volte esordisce Calvino – è paradossale. Si esordisce una volta sola come scrittore. Però siamo in presenza di un autore che quando ha ristampato il suo primo libro (Il sentiero dei nidi di ragno) ha scritto una frase ancora più paradossale: "Il primo libro sarebbe bene non averlo mai scritto". Proprio perché, una volta che l’hai scritto è quello.
Ora, si pone un problema per uno scrittore: di venire al mondo con un nuovo libro – almeno, lui si poneva questo problema, di presentarsi al pubblico come un debuttante. Come se ogni volta dovesse inventare daccapo lo scrittore Calvino. Ed è una cosa che fa più di una volta, in verità, nella sua vita. Perché tanti suoi libri non erano prevedibili né per lui né per la letteratura italiana di quel periodo. Non era prevedibile un intero genere letterario com’è quello delle Cosmicomiche, questa fantascienza dei primordi della biologia e dell'universo. Non era prevedibile mettersi a giocare con i tarocchi e tirarne fuori delle storie. Era un modo per tornare giovane, per ritornare debuttante ma con la facies della maturità.
Forse tutto si riassume in una battuta che lui ha fatto su uno dei suoi maestri, Elio Vittorini, poco dopo la sua morte: "Vittorini è una promessa che continua a promettere". E Calvino ha cercato di essere – e io credo sia stato – una promessa che ha continuato a promettere finché la morte non l’ha colto all’improvviso, a soli 62 anni, con una quantità di progetti in mente, o appena iniziati, o lasciati a metà, che sbalordisce».

Come l’hanno accolta gli studenti negli incontri a Bolzano?

«In biblioteca è stato un incontro affollatissimo, 250-300 ragazzi e ragazze con i loro docenti hanno riempito l’auditorium della scuola. Sapevo fin dall’inizio che tutti i presenti avevano letto per lo meno due libri di Calvino, alcuni – ho poi saputo – erano arrivati a quattro, cinque dei suoi libri. Una cosa eccezionale, se si tiene conto di dove si arriva con i programmi della maturità. E avevano fatto dei lavori di scrittura, di disegno, di fotografia, di cartografia, di invenzione su un quartiere periferico di Bolzano. Altre e altri avevano fatto delle performance, delle letture. Si erano scambiati esperienze. Sono convinto di una cosa: gli insegnanti sono fondamentali. So che non farei questo lavoro, non mi occuperei di letteratura come me ne occupo, se non avessi incontrato la mia insegnante di lettere al triennio del liceo».