Parlamento della Catalogna a Barcellona, Spagna, ©conejota | fotolia.com

Formazione

LA CRISI COSTITUZIONALE IN SPAGNA

All’Università di Trento riflessioni sulla “questione catalana”

12 dicembre 2017
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LA CRISI COSTITUZIONALE IN SPAGNA
di Roberto Toniatti
Professore di diritto costituzionale comparato presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Trento.

Le vicende che hanno portato la Catalogna all’attenzione dell’Europa e del mondo si prestano ad una pluralità di osservazioni sulla natura e sul metodo del diritto costituzionale, che possono rivelarsi molto utili anche nella didattica, stimolando gli studenti a ragionare e maturare opinioni proprie. Consentono di avviare riflessioni critiche in tema di differenza fra legalità e legittimità costituzionale, ovvero in relazione all’esistenza di limiti al potere pubblico di tipo formale ma anche di limiti di opportunità – retti da principi dal contenuto generico ma di forte impatto giuridico, quale la reciproca leale collaborazione fra organi di governo centrale e regionale -, o anche connessi al necessario equilibrio fra il criterio di maggioranza e le garanzie delle minoranze, fra costituzione scritta e costituzione vivente. 

Tali vicende hanno fatto emergere una crisi del sistema costituzionale spagnolo il quale, impossibilitato ad avere una maggioranza stabile anche per motivi di frazionamento partitico e conseguente competizione elettorale presso l’elettorato nazionale, non si è rivelato in grado di gestire il disagio dell’autonomia catalana e ha indotto una classe dirigente regionale poco accorta ad entrare in un vicolo cieco, avviando una spirale – quella del soberanismo indipendentista - destinata ad estinguersi, lasciando però molte vittime sul terreno.

Per comprendere il presente occorre, come sempre, riportarsi indietro nella storia, almeno al periodo della seconda Repubblica che, con la Costituzione del 1931, aveva garantito un regime di autonomia regionale e la riorganizzazione della Generalitat de Catalunya (Cataluña in spagnolo e Catalonha in occitano). La guerra civile franchista (1936) mise fine a questa esperienza e le dinamiche politiche che portarono alla nuova Costituzione del 1978 culminarono in un patto costituente che includeva una forte autonomia regionale per  quelle parti del territorio nelle quali erano insediate le minoranze linguistiche storiche, soprattutto i catalani e i baschi. In questo contesto, dopo il primo Statuto di autonomia del 1979, la Generalitat – rivendicando, com’è del tutto fisiologico, margini di autogoverno più ampi e non riuscendo, nonostante il sostegno iniziale del partito socialista (PSOE), contrastato però dall’opposizione del partito popolare (PP), ad avviare una riforma della Costituzione (2004) -, optò per conseguire quei maggiori margini attraverso una revisione del proprio Statuto regionale, che fu approvato dal Parlament regionale, anche con referendum popolare (2005), e fu poi votato  – con modifiche - dalle Cortes spagnole (2006) divenendo legge organica dello Stato.

Ma il PP – che appare ormai avviato a presentarsi come il nuovo campione conservatore del nazionalismo centralista spagnolo – proseguì con la propria opposizione, raccolse le firme di 3.000.000  cittadini contro il nuovo Statuto e fece altresì ricorso al Tribunale costituzionale (TC) contro 114 sue disposizioni. Il TC impiegò 4 anni per emettere nel 2010 la sua decisione che dichiarava l’illegittimità di 14 disposizioni dello Statuto,  con riguardo a contenuti simbolici (in tema di identità come nazione e di uso preferenziale della lingua catalana) e materiali (competenze e finanziamento). Altre 27 disposizioni furono dichiarate legittime a condizione però che venissero interpretate in conformità con la lettura datane dallo stesso TC. Da ultimo, il TC dichiarò nulli i riferimenti alla “nazione catalana” presenti nel preambolo. Nondimeno, il TC ricordò anche che la Costituzione spagnola non prevede limiti sostanziali alla sua revisione, rimettendo pertanto la responsabilità di individuare una soluzione al sistema politico.

La prima reazione catalana fu decisamente fuori tono: si dichiarò che si era consumata una rottura del patto costituente e si oppose la democrazia del voto alla democrazia costituzionale: Som una nació. Nosaltres decidim ("Siamo una nazione. Decidiamo noi"). In seguito, tuttavia, si rivendicò un accordo con il Governo (del PP) per l’esercizio  di un dret a decider quale contenuto della libertà di manifestazione del pensiero esercitata collettivamente – con una qualificazione piuttosto artificiosa -, ma anche questa sollecitazione fu negata dal Governo di Madrid, per nulla ispirato dal negoziato che aveva consentito lo svolgimento pacifico, legittimo e legale per l’indipendenza della Scozia. Questa fu, a mio giudizio, la grande occasione mancata per avviare un dialogo che avrebbe potuto andare incontro sia alle esigenze unitarie dello Stato sia alle rivendicazioni catalane.
 
Il resto fa parte delle ben note vicende più recenti. In questo contesto, occorre attendere le imminenti elezioni catalane del 21 dicembre per sperare di vedere l’inizio di un dialogo responsabile fra le parti. L’Unione Europea, intanto, ha perso anche questa occasione per uscire dalla gestione intergovernativa che le nega un futuro.

Il professor Toniatti ha affrontato il tema il 7 novembre presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Trento durante il ciclo di seminari "Course of Comparative Constitutional Law", nell’ambito del corso Comparative, European and International Legal Studies - CEILS (responsabile scientifico professor Marco Dani); e all'incontro "La crisi costituzionale in Spagna", tenuto il 21 novembre per il ciclo di incontri di diritto costituzionale "La costituzione tra teoria e pratica", (coordinatori scientifici professor Carlo Casonato e professoressa Cinzia Piciocchi).