Vista del quartiere palestinese di Silwan. Foto di Davide Locatelli

Internazionale

IL GOVERNO URBANO DI GERUSALEMME

Conversazione con Francesco Chiodelli sulla pianificazione territoriale e il conflitto israelo-palestinese

29 marzo 2018
Versione stampabile
Andrea Brighenti
di Andrea Mubi Brighenti
Ricercatore del Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale dell’Università di Trento.

Lo scorso 8 marzo 2018, all'interno dell'incontro "I Paesaggi del conflitto" del Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale, il professor Francesco Chiodelli del Gran Sasso Science Institute (membro del committee del dottorato internazionale in Urban Studies), ha presentato il suo libro "Shaping Jerusalem. Spatial planning, politics and the conflict" (Routledge, 2017). 

Secondo la sua interpretazione, il riconoscimento unilaterale di Gerusalemme come capitale dello Stato di Israele da parte dell’amministrazione americana nel 2018, più che costituire un evento dirompente e destabilizzante, è piuttosto la fotografia di uno stato di fatto… 

Le Nazioni Unite hanno sempre condannato l’occupazione di Gerusalemme Est da parte di Israele avvenuta nel 1967. Ogni tipo di legittimazione dell'occupazione israeliana dei territori palestinesi è stata vista come una pietra tombale sul processo di pacificazione nel conflitto israelo-palestinese. Ma la realtà sul terreno è molto diversa: nel corso degli ultimi 50 anni, nel silenzio quasi completo della comunità internazionale, Israele ha messo in campo un processo di pianificazione urbana in grado di trasformate quella che inizialmente non era che un'aspirazione politica, l’idea dell'indivisibilità e dell'ebraicità di tutta la città, in un dato di fatto.

Quali sono stati gli strumenti e le strategie di questa trasformazione territoriale operata attraverso il “semplice” governo della città?

Il geografo israeliano Oren Yiftachel ha parlato di un duplice processo, di "ebraizzazione" da un lato e "de-arabizzazione" dall’altro. L'espansione spaziale e demografica della popolazione ebraica, a spese della popolazione araba, è stata perseguita attraverso una miriade di azioni minute riguardanti i permessi per costruire, le demolizioni degli edifici abusivi, la pianificazione urbana e la realizzazione di infrastrutture e servizi pubblici. Anche se prese singolarmente queste azioni possono sembrare insignificanti, cumulate nel tempo e nello spazio esse hanno cambiato in profondità la materialità della città. Il risultato complessivo è stato la cancellazione della divisione fisica tra Gerusalemme Ovest (la città ebraica) e Gerusalemme Est (la città araba).

Oggi dunque non vi è più soluzione di continuità tra Gerusalemme Ovest ed Est. La famosa "Linea verde" delle risoluzioni internazionali non esiste che sulla carta…

Lo sviluppo di insediamenti ebraici nel territorio di Gerusalemme Est è avvenuto in gran parte con la costruzione di quartieri che potremmo definire di edilizia pubblica o sociale, ossia fortemente sovvenzionati dalla Stato, attraverso lo strumento dell’espropriazione di suolo per pubblica utilità. Considerate che oggi circa il 40% della popolazione israeliana della città vive in questi quartieri. Simultaneamente a questo intenso processo di colonizzazione, le autorità israeliane hanno messo in atto una serie di misure finalizzare a contenere l'espansione urbana araba, con il risultato di trasformare i quartieri palestinesi in veri e propri ghetti, poveri, sovraffollati e privi dei servizi pubblici necessari. Così oggi questi quartieri si configurano come isole aliene, povere e degradate, all'interno del mare della città israeliana.

Se l’opzione di tornare alla situazione del 1967 è impraticabile, che alternative rimangono aperte per garantire la coesistenza tra israeliani e palestinesi nella città di Gerusalemme?

Volenti o nolenti, Gerusalemme è già oggi unita e indivisibile. Naturalmente, continuare a parlare di ri-divisione della città ha un comprensibile e condivisibile significato politico e simbolico, ma non ha più alcun significato concreto. È una semplice utopia. Ciò non giustifica la decisione di Trump e non legittima l'occupazione israeliana, ma è lo sfondo su cui ciò è potuto avvenire ed è un vincolo che bisogna tener presente se si vuole progredire nel dibattito pubblico sul futuro della città, nella direzione di una soluzione praticabile. Per esempio, nuove ipotesi possono venir messe sul tavolo, quali la gestione condivisa o internazionale della Città Santa e la partecipazione più estesa dei palestinesi al governo della città.