Martedì, 9 giugno 2020

Coronavirus all’arrembaggio in zattera

Un gruppo di ricerca coordinato da UniTrento spiega come l’assalto alla cellula umana avvenga attraverso zattere lipidiche che consentono al virus di diffondersi

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Di solito si parla di zattere di salvataggio, ma ce ne sono altre che invece rappresentano un pericolo: è il caso delle zattere lipidiche, attraverso cui i Coronavirus vanno all’assalto della cellula umana.

Lo studio di un gruppo di ricerca interdisciplinare, coordinato dall’Università di Trento e dalla Federico II di Napoli, ha approfondito cosa accade durante l’arrembaggio e gli stratagemmi dell’aggressore.

Emerge che, per penetrare nella cellula umana, il virus trae in inganno la membrana che la avvolge. La membrana ha un ruolo fondamentale perché protegge il normale funzionamento cellulare da cui dipendono la crescita e lo sviluppo dei tessuti e la funzionalità dei diversi organi del corpo.

Al virus che si presenta sotto false spoglie amichevoli (come un ligando, molecola in grado di legare una biomolecola e formare un complesso che svolge o induce una funzione biologica), la membrana risponde con degli ispessimenti localizzati. Questi ispessimenti, chiamati zattere lipidiche, consentono al virus di aprirsi un varco e di penetrare all’interno della cellula.

Tramite un approccio di meccano-biologia, si spiega il modo in cui le proprietà microstrutturali della membrana interagiscono con i processi biochimici e determinano la formazione delle zattere.

Il lavoro, pubblicato sulla rivista scientifica internazionale “Journal of the Mechanics and Physics of Solids”, sulla base di conoscenze biomediche e ingegneristiche potrebbe suggerire nuove strategie per limitare l’attacco di virus e quindi prevenire o combattere malattie come Sars e Covid-19.

La ricerca è diretta e condotta da Luca Deseri e Nicola Pugno, professori del Gruppo di Meccanica dei Solidi e delle Strutture del Dipartimento di Ingegneria Civile, Ambientale e Meccanica dell’Università di Trento, e dall’équipe di Massimiliano Fraldi, professore del Dipartimento di Strutture per l'Ingegneria e l'Architettura dell’Università di Napoli-Federico II, in sinergia con ricercatori della Carnegie Mellon University e dell’Università di Pittsburgh, negli USA, con l’Università di Palermo e con l’Università di Ferrara, dove si è svolta l’attività sperimentale.

Ulteriori dettagli nel comunicato stampa