Editoriali

Maschile e Femminile

Il peso delle parole. Tra grammatica, visione del mondo, dignità delle persone

2 aprile 2024
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il rettore Flavio Deflorian ©UniTrento ph. Federico Nardelli
Flavio Deflorian
rettore dell'Università di Trento

Vorrei tornare un’ultima volta, per fare chiarezza, sul tema dell’uso del femminile sovraesteso nel regolamento generale di ateneo dell’Università di Trento. In questi giorni sui mezzi di informazione e sui social abbiamo visto dichiarazioni e ricostruzioni le più varie, insieme a mistificazione di fatti e denigrazione, che riportano anche sciocchezze di ogni genere. Cominciamo con qualche punto fermo. Non cambia niente nella comunicazione interna ed esterna all’ateneo, che rimarrà quella di prima e di sempre e ognuno sarà chiamato al maschile o al femminile a seconda delle situazioni. Se qualcuno temeva fosse messa in discussione la sua identità sessuale, lo tranquillizzo, non sarà un regolamento a metterla in dubbio. Semplicemente un regolamento, i cui termini fino ad oggi erano tutti al maschile, senza scandalo per nessuno, e che potevamo scrivere, seguendo la policy di ateneo, declinando i termini sia al maschile che al femminile, è per una volta scritto con i termini al femminile. Per semplicità e senza nessun intento rivoluzionario. Tutto qui. Niente di più.

Però le parole hanno un peso. E non solo grammaticale, rappresentano una nostra visione del mondo. Se noi pensiamo che i due generi, maschile e femminile, abbiano la medesima dignità e valore, non capisco quale differenza ci sia se dopo un regolamento declinato al maschile ne arriva uno declinato al femminile (ed in entrambi i casi vale per tutti). Se invece pensiamo che il genere maschile valga di più, sia più “generale” e possa includere anche quello femminile, ma non valga il contrario, lo si dica chiaramente. È una posizione politica chiara. Ma di posizione politica si tratta, non di grammatica, buon senso o altro.

Si è detto e scritto a sproposito che non sono questi i veri problemi e che la parità di genere è ben altro. E chi ne dubita? Chi ha mai sostenuto che con il nostro regolamento si pensasse di risolvere la questione della parità fra uomini e donne? Mi pare che questa strana ipotesi sia solo nella testa di chi la esprime, non certo nei nostri intenti. L’Università di Trento ha una decennale storia di sforzi per contribuire alla parità di genere, con atti concreti e specifici. Quindi credo che l’obiezione del benaltrismo sia la tipica obiezione (applicabile a tutto, c’è sempre qualcosa di più importante) di chi non ha argomentazioni. Noi semplicemente abbiamo scritto un documento partendo dal presupposto che tutte le persone abbiano lo stesso valore e dignità. Se questo a qualcuno non piace, può liberamente dire il contrario e cioè che il maschile vale più del femminile. Senza però ridicolizzare chi la pensa diversamente, riportare informazioni false e grottesche, per non parlare degli insulti e delle offese. Noi invece ci crediamo. Con semplicità, senza vantarci di nulla (ricordo che non siamo i primi a farlo) o dare significati che vadano al di là della realtà. Senza venire meno al nostro impegno quotidiano sulla parità di genere. Ma con convinzione.

C’è una morale in tutto questo. Se le parole non avessero peso, nessuno (tranne forse gli esperti linguisti) avrebbe dedicato tempo e attenzione alla forma di un nostro regolamento interno, che francamente non interessa a nessuno. Ma le parole ci definiscono e a qualcuno evidentemente non piace che anche la lingua evolva come la società. Ma qui non c’è molto da fare e le opinioni contano poco. La parità fra i generi e fra tutte le persone è il futuro della nostra società, e con essa, come conseguenza inevitabile, evolve anche il linguaggio.