Hannah Arendt © Adobe Stock

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Rifugio è libertà

In un incontro dedicato alle donne nella filosofia si parla del tema della casa e dello spazio pubblico secondo Hannah Arendt

18 aprile 2024
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Paola Siano
Ufficio Stampa e Relazioni esterne

Qual è il rapporto tra lo spazio pubblico e la sfera privata? Parte da questa domanda la riflessione di Hannah Arendt sul concetto di casa, per arrivare poi ad approfondire l’argomento della libertà politica. Il pensiero di dimora sviluppato dalla filosofa tedesca viene affrontato nel corso del seminario organizzato nell’ambito del ciclo La filosofia delle donne. Temi e concetti del pensiero filosofico femminile e si svolge mercoledì 24 aprile alle 18 a Palazzo Prodi. È organizzato dalla professoressa di Storia della filosofia medioevale e Delegata per Equità & Diversità UniTrento Irene Zavattero e dalla dottoranda in Culture d’Europa Sara Marchesi, del Dipartimento di Lettere e Filosofia. La conferenza è tenuta da Silvia Rossi, anche lei dottoranda allo stesso Dipartimento.

Le quattro mura della proprietà offrono il solo rifugio dal mondo pubblico comune, non solo da tutto ciò che avviene in esso ma anche dalla propria condizione in pubblico, dall’essere visti e sentiti (…) La capacità degli uomini di organizzarsi politicamente non solo è differente, ma è in netto contrasto con l’associazione naturale che ha il suo centro nella casa e nella famiglia”. Sono parole tratte dal testo Vita Activa scritto da Arendt nel 1958 e dalle quali Silvia Rossi parte per srotolare il filo del discorso lungo il quale è annodato il concetto della dimensione domestica contrapposta a quella pubblica, che si riflette poi nella nascita della città-stato. La sfera privata era, per la studiosa, il luogo delle necessità biologiche, che assicurava la sopravvivenza individuale e quella della specie. La polis era invece il luogo di una libertà molto specifica, quella politica. «Provo a descrivere la casa nella sua relazione con la sfera pubblica. Da un lato quindi – spiega Rossi – la casa è il luogo della riproduzione della vita, in cui vigono relazioni coercitive, ma garantisce anche protezione dalla condizione di esposizione. Dall’altro, la sfera pubblica è il luogo in cui le persone possono fare esperienza della libertà politica e della pluralità, in cui si è visti e sentiti pubblicamente». Esistono dei nessi tra queste due dimensioni? «L’emancipazione dalla casa e la liberazione dal soddisfacimento delle necessità vitali al suo interno – risponde la dottoranda – sono il presupposto per la pratica della libertà politica. A un livello più profondo, d’altra parte, le mura domestiche rendono possibile un radicamento che si rivela essenziale per poter sperimentare la libertà politica di cui parla Arendt». Con quali occhi leggiamo Hannah Arendt in questo momento storico così fragile? Quale sarebbe la sua lettura della realtà? «La modernità per la filosofa è l’epoca della perdita parallela di una dimensione propriamente domestica e di una esclusivamente politica. La semantica della casa nel pensiero di Arendt oggi può aiutare a capire quali sono i rischi connessi alla perdita parallela di uno spazio che offra riparo e di uno che dia modo di sperimentare la libertà politica. Il rischio, a suo avviso, è che il gruppo politico si trasformi in una grande famiglia abitante in un’unica grande casa in cui si pretende omogeneità e non pluralità». Ne consegue, quindi, il controllo del singolo cittadino sia nella dimensione pubblica, sia nel privato da parte di un potere esterno (come avviene nei regimi totalitari). Ma come si lega la figura di Hannah Arendt, che non può, per sua stessa dichiarazione, essere considerata una pensatrice femminista, al ciclo di incontri dedicato al contributo delle donne alla storia e alla pratica della filosofia e in cui si è parlato di autocoscienza, ecofemminismo, nonviolenza in autrici (Carla Lonzi, Françoise d’Eaubonne, Judith Butler) che femministe si sono sempre definite in modo molto netto? «Per questi seminari abbiamo voluto isolare il pensiero e la posizione di alcune studiose non necessariamente femministe, ma che hanno elaborato concetti utili a un’analisi divergente da quella canonica (e maschile)», spiega Sara Marchesi. «Quello della casa è un tema controverso – prosegue – e in un ragionamento femminista quando si parla di questo argomento oggi si cerca di mettere in luce l’ambivalenza legata al fatto che la categoria donna non è omogenea. Le lotte delle donne occidentali di prima e seconda ondata cercavano di liberarsi dalla prigione della casa. Ma altre donne, come per esempio le afroamericane rese schiave nel sud degli Stati Uniti, nella casa vedevano uno spazio di resistenza e di esistenza. Per loro era un valore negato perché vivevano o lavoravano in dimore altrui. Oggi ci rendiamo conto del fatto che quello che per una certa categoria di donna può essere vissuta come prigione, per altre è invece spazio di liberazione». L’iniziativa di organizzare questi incontri è partita da una richiesta di studenti e studentesse che hanno rilevato la mancanza di filosofe nei programmi di studio. «Le donne sembrano inesistenti se le cerchiamo nei libri di storia della filosofia. Di molte – sottolinea ancora Marchesi – non abbiamo ascoltato le voci. Ma questo ha concesso loro anche maggiore libertà di espressione. Hanno dimostrato che la filosofia si può fare in modi diversi. Pensiamo alla scrittrice Virginia Wolf, che ha scelto la letteratura per raccontare i suoi pensieri filosofici». Dopo una breve pausa, il ciclo di seminari riprenderà il prossimo autunno.