Un momento del convegno, foto Giovanni Cavulli, archivio Università di Trento

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FISICA: UN DIPARTIMENTO IN BUONA SALUTE CHE GUARDA AVANTI

Ricerca, didattica e rapporto con le imprese nell’Assemblea del Dipartimento di Fisica. Intervista al direttore Lorenzo Pavesi

14 aprile 2015
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Cristiano Zanetti
di Cristiano Zanetti
Lavora presso la Divisione Comunicazione ed Eventi dell’Università di Trento.

La seconda Assemblea del Dipartimento di Fisica, svoltasi al Polo scientifico e tecnologico “Fabio Ferrari” di Povo, ha riunito la componente accademica, gli studenti e il personale tecnico amministrativo che operano nel Dipartimento per una riflessione sui temi della ricerca, della didattica, dei rapporti con il mondo del lavoro e con l’imprenditorialità. I dati presentati dal direttore Lorenzo Pavesi hanno disegnato una realtà complessivamente in salute che vuole e può affrontare le inevitabili sfide di consolidamento e crescita che il futuro pone. Abbiamo rivolto alcune domande al professor Pavesi.

Professor Pavesi, partiamo con il futuro e cioè con gli studenti: la partecipazione all’assemblea è stata numerosa e ha arricchito il tema dell’offerta magistrale che era stato messo a caposaldo della discussione sulla didattica. Gli studenti a Fisica sono sempre più numerosi e motivati: come favorire la crescita di questo capitale umano?

A noi non interessa il numero bensì la qualità degli studenti e della loro formazione, in primis, e le loro prospettive occupazionali, in secondo luogo. Per questa ragione due temi portanti dell’assemblea sono stati come migliorare la qualità della nostra laurea magistrale e come ampliare l’offerta occupazionale post-lauream. A tal fine i dati presentati dal coordinatore dei corsi di studio in fisica, professor Giulio Monaco, sono stati confortanti: abbiamo un numero quasi uguale di studenti che si laureano alla triennale e di studenti che si iscrivono alla magistrale. Quindi il numero di studenti che si iscrivono alla nostra magistrale venendo da altre triennali eguaglia il numero dei nostri triennalisti che si iscrivono altrove. I nostri studenti che si iscrivono ad altre magistrali lo fanno perché non trovano in sede la specializzazione che interessa loro, mentre studenti vengono da altre sedi per le varie specializzazione che noi offriamo. Abbiamo raccolto opinioni molto interessanti da nostri ex-studenti che hanno apprezzato il corso di studio da noi offerto in particolare per quel che riguarda la qualità della didattica, dei servizi e l’ambiente familiare e cooperativo che si respira in dipartimento. D’altra parte, viste le ricerche svolte in dipartimento e la nostra dimensione, non siamo in grado di offrire corsi magistrali su tutte le aree della fisica. Per questa ragione, stiamo discutendo con l’Università di Padova la possibilità di aprire percorsi congiunti e paralleli da offrire a studenti trentini e padovani in modo da ampliare la nostra offerta formativa. 
Un aspetto che ci fa riflettere è il numero ridotto di iscrizioni alla magistrale da studenti che provengono da altre università europee, malgrado la nostra offerta sia in lingua inglese. Non siamo ancora abbastanza attrattivi su questo aspetto: sicuramente ci sono ragioni di tipo sistemico (il Paese in crisi) ma anche ragioni legate ad una minor notorietà di Trento rispetto ad altre sedi europee. Sarebbe anche qui necessario fare rete con altri atenei europei con l’obiettivo di aumentare la visibilità dell’Ateneo trentino e del Dipartimento di Fisica. 
Rispetto alle prospettive occupazionali che offre la nostra laurea, ci siamo a lungo confrontati con imprenditori e fisici operanti in aziende. Dal confronto emerge come la professionalità del fisico sia molto utile in tutte quelle industrie o imprese dove l’innovazione e le tecniche di problem solving sono necessarie. È stato però notato che, pur essendo molto solidi nella preparazione di base e metodologica, i nostri laureati devono impegnarsi ulteriormente sulle cosiddette soft-skills (capacità relazionali, gestione di gruppi, tecniche di presentazione). Un’altra nota è sulla scarsa conoscenza della figura del fisico nel mondo industriale per cui è importante mettere in contatto i nostri studenti con le aziende incrementando le opportunità di stage e le presentazioni delle aziende. 

Da quanto emerso dai relatori e dalla discussione, i successi del Dipartimento sono sempre stati supportati e favoriti da un intenso lavoro sperimentale, che trova le sue radici anche nella collaborazione tra la ricerca accademica e il lavoro dei tecnici. Tuttavia, sembra vi siano difficoltà oggettive legate a motivazioni diverse, tra le quali il pericolo di un mancato ricambio generazionale della parte tecnica. Come far fronte a questa situazione?

La componente non accademica del Dipartimento (il personale tecnico amministrativo) ha contribuito in modo determinante alla nostra attività. Per questa ragione durante il momento iniziale della nostra assemblea abbiamo invitato i rappresentanti del personale tecnico e amministrativo a presentare il loro punto di vista sullo stato del Dipartimento. Sono emersi spunti molto interessanti: sia per il forte senso di appartenenza che ci rende una squadra unica con ruoli differenti, sia per la rivendicazione di professionalità preziose per il Dipartimento e per l’Ateneo che non possono e non devono essere relegate a ruoli puramente gregari. A tal fine un coinvolgimento più fattivo e reale del personale nella gestione e nell’elaborazione delle strategie dipartimentali potrebbe essere ricercata. Questo è uno spunto sul quale aprirò una riflessione a livello di Consiglio di Dipartimento. Inoltre, non possiamo nascondere che gli anni passano per tutti e quindi assistiamo a un preoccupante invecchiamento del personale senza prospettive di ricambio. Da una parte dobbiamo mettere in atto una politica di premialità per quelle persone che s’impegnano di più, dall’altra dobbiamo pensare alla sostituzione di chi si ritira. Questi aspetti dovranno essere affrontati dal rettore Collini perché non possiamo mantenere gli standard cui siamo abituati facendo conto sulla sola dedizione di queste persone senza riconoscere loro alcun incentivo. 

Rapporti con l’imprenditorialità e il territorio: se da quest’ultimo sono arrivati segnali di interesse con la disponibilità manifestata, ad esempio, da parte della APSS di aumentare gli spazi di collaborazione nel campo della formazione sulle tecnologie fisico-mediche, il mondo imprenditoriale presente all’Assemblea ha chiesto passi concreti verso l’attivazione di specifiche figure accademiche di interfaccia tra impresa e accademia. A che punto siamo su questo versante? Quali gli sviluppi prevedibili?

Mi piace pensare il Dipartimento come facente parte di una rete formata dagli altri enti di ricerca presenti sul territorio capaci di collaborare su obiettivi specifici e nel rispetto delle proprie peculiarità. Chiaramente, il Dipartimento di Fisica ha come obiettivo spostare la frontiera della conoscenza rispetto al sapere consolidato: esplorazione delle frontiere del conosciuto alla ricerca di nuove fenomenologie e nuove teorie. Insegniamo agli studenti il metodo scientifico e la fisica, e quello che ogni giorno contribuiamo a scoprire. 
Ci piace fare scienza. Questo vuol dire che, pur essendo uno dei dipartimenti di Fisica in Italia con più contratti di ricerca con aziende, questo non è il core business dei nostri interessi scientifici. Varie imprese ci hanno stimolato a cominciare progetti comuni di ampio respiro su temi di loro interesse (per esempio simulazioni di processi industriali, sviluppo di sensori innovativi, studi delle interazioni radiazione-materia) ma non abbiamo ricercatori o docenti interessati a spendersi completamente su questi temi. Per ovviare a questo, il collega Giovanni Prodi ha suggerito di reclutare giovani ricercatori su contratti quinquennali con l’obiettivo specifico non di fare scienza, ma di mettere al servizio del mondo industriale le competenze scientifiche proprie di un fisico. Questi ricercatori in fisica industriale avrebbero come obiettivo quello di portare innovazione in azienda attraverso la soluzione di problemi proposti dalle aziende stesse. Attorno ai ricercatori poi si formerebbero gruppi di studenti e dottorandi su temi di ricerca applicata, in altre parole potremmo replicare il ciclo virtuoso insegnamento-ricerca su tematiche di tipo industriale. Fin dall’inizio, poi, deve essere chiaro che il futuro professionale per questi ricercatori industriali non si prefigura in accademia nel senso classico, ma in aziende che avrebbero come valore aggiunto il reclutamento di professionisti dell’innovazione capaci di dialogare in modo efficace con i centri di ricerca. Quest’iniziativa ha senso se finanziata congiuntamente dall’Ateneo e dalle aziende: l’Ateneo potrebbe mettere a disposizione alcune figure di ricercatore di questo tipo, mentre le aziende potrebbero finanziarne la ricerca e offrire borse di dottorato.
Un aspetto differente riguarda la formazione all’imprenditoria, dove noi fisici abbiamo poche competenze non essendo imprenditori. Sarebbe auspicabile un più effettivo contributo ai nostri corsi di studio da parte di artigiani, imprenditori e professionisti per offrire un punto di vista alternativo e complementare al nostro su specifici temi e per testimoniare cosa vuol dire fare impresa e lavorare in azienda.
Su questi due aspetti il Dipartimento si sta impegnando fattivamente in modo da poter offrire un prodotto sempre migliore ai nostri studenti e per contribuire a rendere migliore il territorio in cui siamo presenti.