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REVISIONE COSTITUZIONALE E RIFORMA DEGLI STATUTI SPECIALI

Come la modifica della Carta fondamentale della Repubblica andrà a incidere sull’atto fondamentale delle Autonomie alpine

7 marzo 2016
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Roberto Toniatti
di Roberto Toniatti
Professore ordinario presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Trento.

La revisione della Costituzione in corso è destinata ad incidere in misura rilevante sull’assetto regionale e sulla configurazione del Senato, che viene trasformato (più o meno) in sede di rappresentanza delle istituzioni territoriali. Ricordiamo che al momento mancano soltanto sia l’ultima delle quattro delibere parlamentari richieste, sia la celebrazione del referendum popolare confermativo – o meno – previsto per l’ottobre del 2016.

Il nuovo testo costituzionale – una volta entrato in vigore – non produrrebbe effetti giuridici immediati sugli statuti speciali delle autonomie differenziate se non quello di dover porre mano alla loro revisione in una fase successiva, come stabilito da una apposita norma transitoria. Tale norma si rivela cruciale per almeno due motivi: in primo luogo, poiché nel testo precedente a quello attuale e finale si parlava – anziché di revisione - di “adeguamento” degli statuti speciali e questo avrebbe potuto comportare una contrazione dell’autonomia speciale in linea con la cospicua compressione delle autonomie regionali ordinarie e, in secondo luogo, poiché la legge costituzionale di approvazione parlamentare dei nuovi statuti è sottoposta a una “intesa” con le istituzioni dell’autonomia. In questa fase, inoltre, è all’opera un tavolo negoziale con il quale si tenta di definire la procedura preordinata a disciplinare proprio l’intesa fra autonomie speciali e istituzioni statali in tema di revisione statutaria.

Il sintetico quadro qui esposto aiuta a comprendere l’estrema delicatezza di questa fase politico-istituzionale, tanto più se si ricorda anche che le autonomie speciali non avevano provveduto ad adeguare i propri statuti alla precedente revisione costituzionale del 2001. Nel frattempo, anche a causa dell’emergenza economico-finanziaria, si è già provveduto a restringere i margini di autonomia speciale, incidendo sulle sue risorse materiali, con l’avallo di una Corte costituzionale più attenta alle esigenze unitarie che alle garanzie delle autonomie. Inoltre, si è significativamente esteso il fronte degli avversari non solo del regionalismo in generale ma in particolare delle autonomie speciali, con il supporto di una campagna mediatica insistente e ricorrente.

È evidente in questo scenario che il contesto economico e quello politico tanto nazionale quanto locale esprimono una forte pressione sul dato normativo, che viene a rappresentare o il grimaldello con il quale scardinare definitivamente l’autonomia speciale stessa, o la corazza in grado di proteggere quest’ultima dai fendenti che vengono calati con forza da più parti. Si tratta di uno scenario nel quale occorrono alleanze e sinergie, consenso e negoziato, capacità reattiva ed interattiva. Si spiega di conseguenza perché, nell’ambito di un progetto di ricerca presso la Facoltà di Giurisprudenza, denominato “Laboratorio di Innovazione istituzionale per l’Autonomia integrale - LIA”, si sia pensato di attivare un gruppo di lavoro focalizzato sulle Autonomie Speciali Alpine (ASA) – in ragione delle maggiori affinità di cultura dell’autonomia condivisa fra tali territori - composto da docenti di diritto costituzionale che all’impegno scientifico, prioritario, uniscono un orientamento adesivo alle ragioni passate e future delle autonomie speciali. 

L’incontro dello scorso febbraio è servito a fare il punto dei modi attraverso i quali le Autonomie speciali alpine reagiscono e interagiscono con il contesto esterno, oltre che costruire un consenso al proprio interno, e dei contenuti che si intendono introdurre nei nuovi statuti al fine di garantire una nuova fase espansiva del proprio ruolo. La comparazione si è soffermata, fra l’altro, sulla passata esperienza che Friuli Venezia Giulia e Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste hanno già fatto di strumenti di democrazia partecipativa ai fini della revisione statutaria, un’esperienza che l’Alto Adige/Südtirol sta conducendo proprio in queste settimane (a partire dal gennaio 2016) e che il Trentino si accinge a fare dopo aver istituito con legge una propria Consulta. In questo contesto, inoltre, ancora una volta è emerso il profilo di “specialità nella specialità” del Trentino-Alto Adige/Südtirol, nel quale le dinamiche relazionali della ricerca del consenso hanno tanto una dimensione interna a ciascuna Provincia autonoma quanto una dimensione regionale e si rivolgono non solo all’interlocutore italiano ma anche alla Repubblica federale d’Austria quale potenza tutrice (Schutzmacht) circa la conformità della revisione statutaria con l’Accordo Degasperi-Gruber del 1946.

Il 27 febbraio scorso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Trento ha ospitato la tavola rotonda “La revisione costituzionale e la riforma degli statuti speciali delle autonomie alpine”.