Dottori e dottoresse di ricerca nell'edizione 2019 ©UniTrento ph. Redkristal

Formazione

Borse di dottorato? Investimento che paga

Il Rapporto Almalaurea fotografa profilo e condizione occupazionale di chi si dottora in UniTrento

26 luglio 2023
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Alessandra Saletti
Direttrice responsabile UniTrentoMAG

Il dottorato all’Università di Trento è una buona scelta. Lo dice l’ultimo Report di AlmaLaurea sul profilo e la condizione occupazionale dei dottori e delle dottoresse di ricerca reso noto nei giorni scorsi. L’indagine è stata condotta su oltre 5mila dottori e dottoresse di ricerca di una quarantina di atenei italiani e Trento incassa riconoscimenti su vari indicatori, dalla disponibilità di borse di studio alla capacità di attrarre dottorandi stranieri, fino alla migliore occupabilità. UniTrentoMag ha analizzato la performance dei 220 dottori e dottoresse di ricerca dell’ateneo trentino dell’anno 2022 insieme al delegato per i dottorati di ricerca Francesco Pavani.

Un migliaio di dottorandi e dottorande di ricerca con un netto aumento rispetto agli anni precedenti. E circa 8milioni di euro per borse di ricerca finanziate nell’anno accademico 2022/23: una tra le voci di spesa più sostanziose nel bilancio dell’Ateneo. Primo punto di forza di UniTrento rispetto agli altri atenei italiani è senz’altro la scommessa sui giovani. Per l’ateneo trentino è ben di più di uno slogan e il rapporto Almalaurea ne dà conto. Da anni UniTrento si sforza di mettere in campo finanziamenti per garantire un numero alto e stabile di borse di dottorato. La maggior parte dei dottorandi e delle dottorande a Trento, infatti, la ottiene: il 93,5% contro la media nazionale del 81%. «Questo è uno dei dati più significativi che saltano all’occhio dal Rapporto Almalaurea – commenta Pavani. In proporzione alle nostre dimensioni, il nostro investimento come ateneo è infatti decisamente alto. In più di recente si sono aggiunti gli stanziamenti dal Pnrr che hanno spinto ulteriormente in questa direzione. Questo dimostra che abbiamo fatto una scelta lungimirante. Investire nel dottorato non è soltanto supportare la ricerca ma anche formare qualità per il mondo del lavoro. Con il tempo, di solito, il dottorato ripaga degli sforzi chi lo sceglie. I dati ci dicono che l’86,2% di chi si dottora a Trento giudica il titolo conseguito efficace nel lavoro. Del resto, il dottorato è una via d’accesso qualificata sempre più richiesta. Nelle aziende, così come nella pubblica amministrazione, il titolo di dottore o dottoressa di ricerca comincia ad essere discriminante per l’assunzione in ruoli dirigenziali».

La disponibilità di borse di studio, unita alla reputazione scientifica di cui gode l’Università di Trento fa da traino alla capacità di attrazione dell’Ateneo verso l’estero, soprattutto da paesi extraeuropei. L’ateneo trentino registra il 23,2% degli iscritti stranieri contro il 16,3% del dato nazionale. E a Trento il dottorato si consegue prima: i dottori e le dottoresse di ricerca lo concludono a 30,7 anni, rispetto ai colleghi e alle colleghe degli altri atenei (32,6 anni).

Tra le ragioni di soddisfazione anche il tasso di occupazione di chi consegue il titolo a Trento. Il tasso di occupazione a un anno dal titolo è del 92,9%, più alto rispetto alla media nazionale del 90,2%. Ancora più marcata è la riduzione nel tasso di disoccupazione: a Trento è disoccupato solo l’1,9% dei dottorati rispetto al 4,5% della media nazionale. Buoni risultati anche rispetto alla retribuzione mensile netta: 1.920 euro per chi esce da UniTrento (sempre a un anno dal titolo) contro i 1.836 dei colleghi degli altri atenei.

Interessante il dato sull’attività di ricerca che continua anche nell’occupazione lavorativa post dottorato. Ben l’80,4% di chi si dottora a Trento – contro il 69,3% dei dottorati in altri atenei italiani – dichiara di svolgere attività di ricerca in misura elevata nell’arco della giornata lavorativa. Numerosi (58% contro il 46,9% del confronto nazionale) sono gli impieghi come ricercatori, ricercatrici o tecnici laureati nell’università. «Emerge dal report un dato che tutto sommato ci aspettiamo: da sempre uno sbocco molto gettonato per il dottorato di ricerca è l’impiego in laboratori o centri di ricerca del sistema pubblico. Questo denota la capacità di formare il personale di ricerca accademico futuro» rileva Pavani. Ma un dato che ci dà altrettanta soddisfazione è la quota molto numerosa di dottori e dottoresse che continuano il proprio percorso di ricerca nelle imprese. Lavora nel privato il 35,6% dei nostri dottorati, contro il 31,9 della media nazionale. Questo accade soprattutto quando le aziende vengono coinvolte direttamente, già nella fase di definizione dell’impianto del dottorato. A Trento abbiamo avviato questo tipo di collaborazioni da vari anni e i primi segnali oggi, anche in questi dati, si vedono. La strada da fare però è ancora lunga perché è necessario, anche da parte delle aziende, un cambiamento di tipo culturale. La collaborazione con le imprese – quello che viene definito “dottorato industriale” o alto apprendistato – al momento infatti viene frequentata dal 7,4% dei dottorandi, contro la media nazionale dell’8,4%. È un dato che possiamo senz’altro migliorare.

«Chi si è formato qui, nel dottorato, già ragiona in un’ottica di collaborazione e di innovazione – chiarisce Pavani. È allenato a pensare fuori dagli schemi. Nel dottorato ciò che fa la differenza non è tanto la competenza tecnica che si acquisisce, quanto piuttosto la forma mentis che si sviluppa. Cercare sintesi, approfondire con i dati, leggere oltre la superficie, superare l‘abitudine: è quell’elasticità che permette di orientare il proprio lavoro all’innovazione. Ed è proprio nel terzo livello della formazione – il dottorato – che si smette di essere qualcuno che assorbe e ripete, e si diventa capaci di riassemblare e generare conoscenza. Le imprese hanno gran bisogno di professionalità come queste per essere competitive. Le aziende grandi lo sanno bene, ma quelle piccole e medie a volte ancora faticano a vedere il valore aggiunto dell’investimento sul dottorato.
Il precedente Rapporto Almalaurea sui laureati ci ha abituato a considerare UniTrento un ateneo in cui si dà molto peso all’internazionalizzazione degli studi: ben 19,1% dei laureati e delle laureate (contro l’8,3% dei colleghi) ha visto riconosciuto il proprio periodo di formazione all’estero. Un dato che si conferma anche nel dottorato di ricerca anche se in misura minore rispetto alla media nazionale: il 37,2% contro il 40,1% del dato italiano. «Questa lieve flessione è comprensibile: il dottorato è un percorso breve ed è difficile in tre anni includere almeno sei mesi all’estero. Spesso poi i dottorandi e le dottorande sono un motore prezioso all’interno di un gruppo di ricerca, e la loro presenza può fare la differenza soprattutto in un momento in cui per la ricerca le forze in campo sono limitate. Eppure un confronto con altri contesti è vitale perché nel rinnovamento continuo sta la giovinezza culturale e la qualità della ricerca. Sostenere e valorizzare il periodo all’estero deve continuare a far parte del nostro modo di concepire la formazione dottorale».


Investing in PhD scholarships is rewarding

The last AlmaLaurea Report well describes the profile and employment status of the PhD graduates of UniTrento

Studying for a PhD at the University of Trento is a good choice, according to the most recent AlmaLaurea Report on the profile and employment status of PhD graduates, which has just been published. The report surveyed more than 5,000 PhD graduates from some forty Italian universities, and Trento scored well based on a number of indicators, including the number of scholarships, the ability to attract foreign doctoral students, the best employability. UniTrentoMag has taken a look at the performance of the 220 PhD graduates of the University of Trento of 2022 with the delegate for doctoral programmes Francesco Pavani

There are about one thousand doctoral students at UniTrento, a number that has increased considerably compared to previous years. And about 8 million euros were allocated to fund research grants in the 2022/23 academic year: one of the largest expenditure items in the University's budget. Undoubtedly, the first point of strength of UniTrento compared to other Italian universities is the investment in young people: it is much more than a slogan, and the Almalaurea report proves it. The University of Trento has been striving to provide enough funding to ensure a considerable and stable number of doctoral scholarships. And the majority of doctoral students in Trento, in fact, obtain one: 93.5% against the national average of 81%. "This is one of the most significant aspects that emerge from the Almalaurea Report, comments Pavani. The investment of the University is considerable, especially in light of our size. More recently, more funds were made available by the PNRR which have further strengthened this choice. This is the demonstration that we have made a wise choice. Investing in PhD programmes means supporting research but also providing quality to the world of work. Usually, over time, doctoral studies lead to more rewarding careers. Data show that 86.2% of PhD graduates of UniTrento find their degree suitable for the job. After all, a PhD is more and more in demand on the job market, and it has become a requirement to hold management positions in private companies and in the public administration as well."
The availability of scholarships, combined with the scientific reputation of the University of Trento make our University even more attractive for students from abroad, and especially from non-European countries. The University of Trento has 23.2% of foreign PhD students compared with 16.3% at national level. And students graduate earlier from Trento: at 30.7 years of age, compared to 32.6 for their colleagues at other universities.
The employment rate of those who earn the degree in Trento is 92.9%, within one year of graduation, higher than the national average of 90.2%. The decrease of the unemployment rate is even more striking: in Trento only 1.9% of doctors are unemployed compared to 4.5% of the national average. Good results also in terms of net monthly salary: 1,920 euros for UniTrento graduates (one year from graduation) against 1,836 for their colleagues from other universities.
It is interesting to note that PhD holders continue to conduct research in their postdoctoral work. At least 80.4% of UniTrento PhD graduates, compared to 69.3% of the graduates of other Italian universities, declare that they do considerable research work during the working day. Many of them (58% versus 46.9% at the national level) are employed in universities as researchers or technicians. "The report confirmed what we already knew: that many PhD graduates are employed by public laboratories and research institutes. This means that we are able to train the future academic research staff," notes Pavani. We are also very satisfied with another aspect, and that is the number of PhD holders who pursue a career in the private sector: 35.6% of our PhD graduates, compared to 31.9% of the national average. This is a positive consequence of the involvement of the private sector in the design of doctoral programmes. In Trento we have started this type of collaboration years ago and based on the data published in the report it seems that our strategy is bearing fruit. However, there is still a long way to go because this calls for a cultural change in companies. In fact at the moment only 7.4% of doctoral students, against 8.4% on average at national level, are enrolled in so-called "industrial doctorates", those involving private companies. We can certainly do better.
"The students who are trained at doctoral level usually have solid collaboration skills and have an innovation oriented vision, clarifies Pavani. They are trained to think outside the box. What makes a difference in doctoral studies is not so much the knowledge you acquire, but rather the mindset that you develop. The ability to synthesize, to learn from data, to read beyond the surface, to overcome habit: it is a sort of elasticity of the mind that makes you an innovative person. And it is precisely in tertiary education, at the doctoral level, that you stop absorbing and repeating knowledge created by others and start redefining and generating new knowledge. Businesses need this kind of skills to be competitive. Large companies know this well, but small and medium-sized companies sometimes still struggle to understand the added value of investing in PhD programmes.
The previous Almalaurea Report on graduates has led us to consider UniTrento a university where internationalisation is a priority: as many as 19.1% of graduates (compared to 8.3% at other universities) have had their study period abroad recognised. The same goes for the recognition of doctoral studies (even if at a lower level compared to the national average: 37.2% vs 40.1%). "This is not surprising: a PhD programme lasts three years, and it is not easy to spend at least six months in a foreign country in such a short period of time. Besides, often PhD students play a key role in their research team, and their presence can make a difference at a time when there are not so many resources available. In this context, however, a work and study experience at another institution is vital for cultural reasons and for the quality of research: that is why we will continue to provide support to students who choose to spend a period of time abroad during their PhD and to make the most of international mobility opportunities".