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Formazione

Minnesota test: dalle applicazioni cliniche all’accesso alla magistratura

Cosa misura e perché viene usato l’inventario di personalità con le sue 567 domande. Intervista a Simona de Falco

16 aprile 2024
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Linda Varanzano
Studentessa collaboratrice Ufficio stampa e Relazioni esterne

Il Consiglio dei ministri ha approvato nelle scorse settimane un provvedimento che modifica le regole del concorso pubblico per l’accesso alla magistratura. La novità più rilevante è l’introduzione di un test psico-attitudinale che chi aspira alla professione dovrà sostenere in aggiunta alle prove orali dopo aver superato lo scritto. Si è proposto di utilizzare il Minnesota test, ma come funziona? Ne parliamo con Simona de Falco, professoressa ordinaria al Dipartimento di Psicologia e Scienze cognitive.

Professoressa Simona de Falco, come si articola e cosa misura il Minnesota test?

«Il Minnesota Multiphasic Personality Inventory (MMPI) è un inventario di personalità. È un test di autovalutazione tramite cui il soggetto, pensando alla sua opinione su se stesso, deve indicare se una serie di frasi sono prevalentemente vere o false in riferimento alla sua persona. Più precisamente, il test si compone di 567 item, raggruppati in diverse scale, per ciascuna delle quali la risposta del soggetto dà luogo a un punteggio di ciò che la scala intende misurare. Le scale misurano degli aspetti sintomatologici e psicopatologici. Parliamo di aspetti come ansia, depressione, tendenze antisociali e problemi relazionali, oppure anche dell’utilizzo di sostanze, abuso di alcool e problemi familiari. Le scale possono essere anche integrate tra di loro».

Ci può fare qualche esempio delle frasi che vengono proposte?

«Sono diverse. Le faccio qualche esempio: “Molto spesso mi sento stanco”, “Sono sicura che la vita sia ingiusta con me”, “A scuola i miei voti in condotta erano brutti”, “Mi piacciono le feste e gli eventi sociali”…».

Il Minnesota test è riconosciuto a livello universale?

«È il più riconosciuto e utilizzato questionario clinico di personalità. L’utilizzo prevalente è per l’aiuto alla diagnosi nell’ambito della salute mentale piuttosto che per l’orientamento. È dunque prettamente clinico, più che psicoattitudinale. Ci sono alcune scale che rispecchiano aspetti di personalità che non sono strettamente patologici, ricostruiscono il modo di comportarsi, gli atteggiamenti e i vissuti di una persona, al di là di una lettura clinica. Ma l’uso prevalente è comunque di screening di situazioni clinicamente rilevanti. Anche in Italia il test è molto utilizzato in ambito clinico».

Chi si occupa di adattare lo strumento ai tempi?

«La Task Force dell’Università del Minnesota continua a studiarlo e ad adeguarlo all’evoluzione della società. Nella la seconda edizione – l’MMPI 2 – sono stati riformulati alcuni item, sono state revisionate alcune scale e ne sono state introdotte di nuove. Lo strumento viene poi standardizzato in ogni paese, tramite traduzione e somministrazione a un gruppo rappresentativo del territorio, che ne rispecchia le caratteristiche culturali, per ottenere dei punteggi standard con cui confrontare quelli ottenuti dai singoli soggetti».

Quali sono i vantaggi e gli svantaggi del test?

«Un punto di forza del test è la misura della validità del questionario compilato dal singolo soggetto. Viene individuata da un apposito gruppo di scale – le scale di validità – che permettono di stimare quanto è attendibile la prova, analizzando il modo in cui il test è stato compilato. Si considerano gli atteggiamenti di “faking”, ossia l’eventuale tentativo di manipolazione dell’immagine che il soggetto vuole dare di sé, nella tendenza a dare un’immagine più virtuosa oppure al contrario a esagerare la propria sintomatologia. In questo senso, le scale riescono a cogliere tentativi di manipolazione volontari o inconsapevoli. Altre scale, poi, indicano se il test è stato compilato con attenzione oppure se la persona ha risposto a caso o spinta dalla tendenza a rispondere sempre vero o viceversa. Il suo punto debole, come per tutti i test di autovalutazione, è che rispecchia l’opinione consapevole che il soggetto ha e/o vuole dare di sé e può non cogliere aspetti meno consapevoli o condivisibili che possono essere molto utili per ricostruire il profilo della persona. Per questo va sempre integrato con altri strumenti diagnostici come ad esempio il colloquio clinico. Un altro limite potrebbe risiedere nell’utilizzo del test attraverso una procedura interpretativa esclusivamente automatizzata e con un limitato intervento del clinico».

Proprio in merito a ciò, cosa accade una volta compilato il test?

«La casa editrice che ne detiene i diritti propone un sistema di elaborazione automatizzata che consente di calcolare e, volendo, interpretare i punteggi, anche se non giunge a formulare una vera e propria diagnosi. Il calcolo automatico del punteggio è prezioso, ma personalmente, non consiglio di utilizzare l’interpretazione automatica da sola. È necessaria la valutazione del clinico perché bisogna interpretare i singoli punteggi, e la relazione tra i punteggi alle varie scale, alla luce della conoscenza del paziente».

Data la sua applicazione, dal suo punto di vista, ritiene possa essere uno strumento valido per la selezione del personale e l’accesso alle professioni?

«Dipende da cosa si vuole misurare. Se si vogliono misurare aspetti clinici è indubbiamente uno strumento valido, se unito al colloquio con la persona. Come test psicoattitudinale, invece, dobbiamo sapere quali sono gli obiettivi di conoscenza delle commissioni: il punto ad esempio non è capire se il test sia in grado di misurare ansia e depressione, ma valutare se ansia e depressione siano dimensioni importanti per una certa selezione. Il dubbio è se il test sia adatto a questo contesto».

Quali precauzioni adotterebbe nel caso in cui il test venisse utilizzato per l’accesso alla magistratura?

«In quel contesto, considerata la grande mole di candidati, il calcolo dei punteggi deve essere per forza automatico. Ma, per alcune situazioni, deve essere solo un primo livello di screening. Proprio in merito a ciò, una commissione ad hoc deve stabilire da quale discostamento del punteggio sia di interesse approfondire la valutazione e soprattutto quali siano le dimensioni rilevanti. Rimane, quindi, la questione iniziale: quali sono le caratteristiche di personalità che è importante prendere in considerazione? Se la volontà è misurare aspetti sintomatologici allora l’MMPI può essere uno strumento adatto, con le dovute precauzioni e integrazioni. Altrimenti, la scelta dovrebbe ricadere su altri strumenti più adatti per l’orientamento in accesso alle professioni, che forniscono una lettura della personalità in chiave non clinica. Il tema focale è quindi capire quali dimensioni si vogliono misurare e individuare a tal fine gli strumenti di misura il più possibile attendibili e validi».