Palazzo Prodi ©UniTrento ph. Pierluigi Cattani Faggion 

Formazione

Il diritto di farsi un’opinione

UniTrento organizza “Pratiche di cittadinanza”. Incontri e laboratori per confrontarsi sui principi della democrazia

9 maggio 2024
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Alessandra Saletti
Ufficio Stampa e Relazioni esterne

Prendersi il tempo per formulare la propria opinione. Ma anche rivendicare il diritto di metterla in discussione, di cambiarla o persino il diritto di non averla, senza sentirsi a disagio. Nella ‘cassetta degli attrezzi’ che l’Università di Trento offre c’è una nuova iniziativa pensata per aiutare studentesse e studenti a sviluppare un pensiero critico e originale su alcuni dei grandi temi del dibattito democratico. Con i laboratori di “Pratiche di cittadinanza” si gioca a mettersi in discussione. UniTrentoMag va alla scoperta della nuova iniziativa del Piano strategico di Ateneo, nell’ambito delle azioni di Equità e Diversità. 

Si chiama “Pratiche di cittadinanza”. Ma il titolo di questo progetto innovativo potrebbe girare attorno a una semplice parola: ‘accorgersi’. Un invito a fermarsi e a riflettere, prima di tutto, come condizione necessaria per iniziare a vedere ciò che ci circonda. Ma anche a prendersi del tempo per riflettere sul proprio punto di vista, prima di esprimerlo pubblicamente. Un atteggiamento non scontato quando si vive in un costante bombardamento di informazioni e impegni e quando la società richiede di prendere posizione su tutto, velocemente. «Accorgersi, in effetti, è il primo passo. Sintetizza bene anche il principio base su cui abbiamo voluto costruire questo nuovo percorso sperimentale» spiega Giorgia Decarli, docente dell’Università di Verona e coordinatrice dell’iniziativa promossa nell’ambito delle politiche di Equità e Diversità di UniTrento. «Mettere in discussione le proprie idee aiuta a svilupparle, a scegliere parole migliori, più precise, più rispettose per trasmetterle poi in modo efficace. E in generale a sentirsi a proprio agio anche nelle relazioni con le altre persone e nel dibattito pubblico. Per farlo è fondamentale lasciare spazio alla conoscenza sensibile. Ascoltare, vedere e prendersi il tempo per farlo aiuta a creare empatia. Ci permette di analizzare le cose da punti di vista diversi o valutare meglio il contesto. Ad esempio se una situazione o uno spazio è più o meno accogliente per noi o per le altre persone». 
“Pratiche di cittadinanza”, l’iniziativa in calendario fino alla fine di maggio, si snoda attraverso una serie di incontri – laboratorio dove si ha l’opportunità di confrontarsi con alcuni principi della democrazia, magari citati o appresi durante le lezioni ma spesso poco indagati. Sono concetti come ‘stereotipo’, ‘minoranza’, ‘maggioranza’, ‘discriminazione’, ‘informazione’, ‘spazio’, ‘sostenibilità’ ad essere presi in esame di volta in volta attraverso un lavoro individuale e collettivo allo stesso tempo. Termini che hanno a che fare con l’obiettivo del progetto: rafforzare il pluralismo, promuovere una maggiore parità nei punti di vista. «Si lavora su nozioni che di solito si pensa di conoscere già molto bene: studentesse e studenti, divisi in gruppi, lavorano a formulare ipotesi, tentano definizioni, si esprimono più liberamente» chiarisce Decarli. «L’approccio laboratoriale incoraggia proprio l’emergere di dubbi che a volte si fa fatica a manifestare durante una lezione frontale. Cosa intendiamo davvero con quel termine? Come ci riconosciamo in esso? In quali altre situazioni lo viviamo? Con queste domande vengono affrontati casi di studio ipotetici ma anche reali, storici. In un certo senso ‘far esplodere’ questi concetti rafforza la capacità di agire attivamente anche nella vita di tutti i giorni nell’ambito accademico ma anche in quello domestico, applicando pensiero critico e conoscenze apprese».
Ogni laboratorio ha un approccio informale, interattivo e un focus particolare. Il prossimo in programma per il mese di maggio avrà come tema la cittadinanza attiva in spazi urbani accoglienti (il 14 maggio). Insieme a Claudia Battaino e a Paolo Fossati si ragionerà su come gli spazi definiscano i limiti fisici e dunque concorrano a formare i comportamenti sociali. Pensare invece a spazi aperti e fluidi – edifici residenziali in housing sociale, ma anche scuole, piazze e spazi di comunità – è un modo per mettere in crisi questa impostazione e per ripensare agli spazi come opportunità offerte agli individui per riconoscersi e alla società per evitare situazioni di disfunzionalità o marginalità.
Il laboratorio successivo, condotto da Vincenzo D’Andrea, sarà invece dedicato alle fake news (il 21 maggio) e alle strategie per riconoscerle. Nel laboratorio si metteranno in campo metodologie attive e tecniche di vario tipo, compresi sistemi di intelligenza artificiale, per lavorare su fronti diversi: dalla definizione di cosa sia effettivamente falso (o vero), alla sperimentazione di tecniche per evitare manipolazioni e non diventare strumenti per la diffusione di notizie false. La scommessa dei laboratori si gioca sulla possibilità di regolare il linguaggio e testare le proprie idee in un ‘luogo sicuro’, lontano dall’urgenza a esternare tipica dei social. Per riuscirci, i laboratori puntano prima di tutto a rafforzare le competenze di base (hard skills) su vari temi fondamentali per la democrazia, o almeno offrire un’occasione per ripassarli. «In uno dei primi incontri dedicati a genere, questioni lgbtqi+ e diritti in Italia si è parlato, ad esempio, della differenza fra ‘coming out’ e ‘outing’» racconta Decarli. «Sono concetti solo apparentemente semplici. Eppure la sola definizione ha attirato l’attenzione e generato un dibattito libero e ricco di spunti. Alcune persone si sono sentite più a loro agio nel manifestare dubbi e chiedere chiarimenti che in altri contesti magari non avrebbero osato sollevare, per timore di essere fuori luogo o di offendere la sensibilità altrui».
Obiettivo dell’iniziativa è anche quello di contribuire a sviluppare la capacità di pensiero critico e indipendente, l’empatia e in generale quelle soft skill utili a interagire con persone diverse. A cominciare dalla possibilità di lavorare con studentesse e studenti di dipartimenti diversi dal proprio e da tecniche di lavoro di gruppo che favoriscono i processi di immedesimazione. «Non sempre è possibile o facile nella didattica favorire un coinvolgimento e un confronto libero» precisa Decarli. «Gli sforzi ci sono, ma rimane ancora molto da fare per promuovere l’approccio interdisciplinare e il dibattito. La formula adottata per questo ciclo di laboratori mette chi partecipa in condizione di scegliere e usare le parole adatte con maggiore sicurezza nella quotidianità e di sviluppare le proprie idee, mettendole anche in discussione. Ed è un aspetto sostanziale, perché prima di essere studentesse e studenti, professoresse e professori, siamo cittadine e cittadine. È importante rivendicare il diritto alla propria opinione e a prendersi il tempo per formarla. Ciò che ci offre l’università è una cassetta degli attrezzi che non servono solo per raggiungere un buon voto finale all’esame. Ma anche per confrontarsi con le persone, con le istituzioni e con i luoghi. Anche quando talvolta possono non essere del tutto accoglienti o addirittura ostili».