Dettaglio della copertina del libro

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Petrarchism, Paratexts, Pictures: Petrarca e la costruzione di comunità culturali nel Rinascimento

a cura di Bernhard Huss e Federica Pich

8 luglio 2022
Versione stampabile

Attraverso il contributo di sedici esperti di Petrarca e della sua fortuna tra Quattro e Cinquecento, il volume si interroga sui modi in cui la ricezione delle sue opere nel contesto italiano ed europeo ha mediato, in forme varie e molteplici, la costruzione di comunità culturali nel Rinascimento.

Bernhard Huss è professore presso l'Institut für Romanishe Filologie della Freie Universität Berlin
Federica Pich è ricercatrice presso il Dipartimento di Lettere e Filosofia dell'Università di Trento

Dalla Premessa (pagg. 9-11)

I saggi raccolti in questo volume derivano degli interventi presentati alla conferenza internazionale Petrarchism, Paratexts, Pictures: How They Build Cultural  Communities (Freie Universität Berlin, 26-27 novembre 2020), che abbiamo potuto organizzare grazie al sostegno del Cluster of Excellence Temporal Communities. Doing Literature in a Global Perspective (DFG, German Research Foundation EXC 2020 – Project ID 3900608380), della fondazione Alexander von Humboldt e dell’Italienzentrum della Freie Universität Berlin. Tanto il convegno quanto il volume che ora ne raccoglie gli atti sono nati dalla nostra collaborazione a partire dai rispettivi progetti di ricerca: Petrarchan Worlds, diretto da Bernhard Huss presso la Freie Universität Berlin nell’ambito del citato Cluster EXC 2020, e Framing the Lyric Subject Matter: Prose Headings in Italian Books of Poetry (c.1450-c.1650), svolto da Federica Pich presso la stessa università grazie a un Humboldt-Forschungsstipendium für erfahrene Wissenschaftler (2019-2021).

Nell’autunno del 2019, a Berlino, abbiamo cominciato a immaginare la conferenza come un’occasione per riflettere sui modi in cui la ricezione delle opere di Petrarca nel contesto italiano ed europeo ha mediato, in forme varie e molteplici, la costruzione di comunità culturali nel Rinascimento. Nei mesi seguenti, questo intento si è tradotto in un programma strutturato intorno a tre nuclei tematici principali (Petrarchism, Paratexts, Pictures), a ciascuno dei quali corrispondono strategie ed esperienze di community building tra le più pervasive della prima età moderna, sull’ampio sfondo di processi e fenomeni legati alla ricezione di Petrarca. Con la parola petrarchismo, etichetta qui da intendere in senso ampio e criticamente avvertito, abbiamo voluto indicare quel vasto insieme di testi e di pratiche che variamente presuppongono Petrarca come modello ‘di fondo’ condiviso, spesso attraverso la mediazione di commenti e lezioni accademiche. Ci è parso essenziale anche dedicare la dovuta attenzione ai paratesti, intesi in senso lato, non solo in quanto mediatori della ricezione di Petrarca, ma più in generale in quanto agenti fortemente implicati sia nella costruzione – materiale e concettuale – dei libri di rime tra Quattro e Cinquecento sia nello sviluppo di un discorso teorico sulla lirica, soprattutto a partire dalla seconda metà del sedicesimo secolo. Infine, non abbiamo voluto trascurare le immagini, intese come risposte visive alle opere di Petrarca, poiché spesso sono state legate alle aspettative di specifiche comunità e, circolarmente, hanno influenzato il modo in cui tali opere sono state recepite. Come è evidente, i tre macro-temi sono per molti aspetti inseparabili e infatti si sono intrecciati frequentemente negli interventi e nelle discussioni. […]

Rispettando l’alternanza di italiano e di inglese adottata al convegno, i capitoli che seguono si soffermano sui vari contesti in cui Petrarca veniva letto, interpretato e riscritto e si confrontano con diverse pratiche in cui il modello petrarchesco si riattiva e insieme si trasforma, dal gioco all’emblema. L’evoluzione dei paratesti, tanto verbali quanto visivi, riflette le attese di determinate comunità, dalle corti alle accademie, e al tempo stesso influenza le dinamiche di lettura e circolazione dei testi. Come la storia della lirica quattro-cinquecentesca è inseparabile dalla storia della ricezione di Petrarca, così, nel Rinascimento, la nascita e lo sviluppo del commento alla poesia dei contemporanei si intrecciano con le vicende della tradizione esegetica dedicata a Rerum vulgarium fragmenta e Triumphi. Dai tanti momenti di confronto e discussione che sono stati possibili nonostante la modalità telematica, è emerso come sia ancora possibile parlare di petrarchismo (o, meglio, di petrarchismi), a patto che lo si faccia senza rigidità e per quanto possibile senza semplificazioni, in quanto non disponiamo di un’altra etichetta per indicare un insieme di fenomeni per i quali il comune orizzonte di riferimento è Petrarca, non solo per la base lessicale ma anche e soprattutto per la pervasività del codice che ne discende – pervasività che si riscontra tanto nei giochi a cui è dedicato il saggio di Marc Föcking quanto nelle sofisticate operazioni intermediali illustrate nei contributi di Luca Marcozzi e Andrea Torre. Ascoltare gli interventi e le reazioni dei partecipanti ci ha confermati nell’idea che di petrarchismo dobbiamo parlare non come di un magma indistinto o (solo) come di un sistema, ma se mai come di un insieme discreto, fatto di luoghi e di tempi, di biografie e di circostanze, e di modelli quasi sempre plurali. Così, nell’inquadrare i Cento sonetti di Antonfrancesco Rainerio nell’orizzonte delle raccolte uscite tra 1544 e 1554, il saggio di Simone Albonico mostra come per rendere giustizia alla varietà e alla ricchezza dell’esperienza poetica del Cinquecento sia innanzitutto necessario liberarla dall’ipoteca di valori che proiettiamo indebitamente all’indietro. Non solo, nel nostro lavoro su questi temi, dovremmo sempre cercare di alternare due sguardi, idealmente complementari. Da una parte, uno sguardo da vicino, quasi microscopico, come quello che serve per capire le dinamiche di autorappresentazione nella lirica milanese a cavallo tra Quattrocento e Cinquecento, indagate nel saggio di Claudia Berra; o per accorgersi delle peculiarità di una specifica edizione o di una data filiera esegetica, che risponde sempre a un gesto di riposizionamento, come spiegano gli interventi di Florian Mehltretter e di Sabrina Stroppa. Dall’altra parte, uno sguardo da lontano, senza il quale non è possibile arrivare a una comprensione più dinamica di un fenomeno, come dimostrano gli interventi di Franco Tomasi e di Romana Brovia, rispettivamente mettendo ordine nella congerie di commenti, lezioni, traduzioni e imitazioni dedicati alla canzone alla Vergine e rintracciando i fili e le tappe di costruzione dell’iconografia petrarchesca come processo di appropriazione culturale.

Ci siamo anche ricordati, una volta di più, di quanto sia importante restituire le opere che studiamo al loro preciso orizzonte culturale, sia esso quello di una città (come accade per la raccolta udinese qui esaminata da Virginia Cox) o di un’accademia, e alla loro dimensione materiale, di oggetti trasposti in un dato formato e corredati da certi paratesti e non da altri. Così, il saggio di Andrea Comboni mette a confronto i titoli dei canzonieri in volgare del Quattrocento con la varietà di intitolazioni usata per i Rerum vulgarium fragmenta, aiutandoci a capire quale fosse il Petrarca di quei rimatori, e gli interventi di Federica Pich e Gerhard Regn sottolineano l’opportunità di studiare i paratesti non solo come documenti storici ma come parte integrante e viva del libro di rime tardocinquecentesco, al confine tra referenzialità e finzione. Infine, da tre punti di vista diversi, gli interventi di Bernhard Huss, Enrico Fenzi e Andrew James Johnston suggeriscono come a volte perfino le più radicate idee critiche possano essere superate se solo si aggiusta, anche di poco, lo sguardo: Huss libera l’artista noto come Petrarca-Meister dalla semplicistica etichetta di socialista ante litteram e riavvicina le sue illustrazioni al testo del De remediis; Fenzi restituisce all’autore dei Rerum vulgarium fragmenta quello che gli spetta per aiutarci a capire la poesia di Michelangelo; Johnston affianca per la prima volta, nel segno di Petrarca, la cosiddetta ‘Alliterative Morte Arthure’ a The Clerk’s Tale di Chaucer.

Per gentile concessione della casa editrice Franco Cesati.