Roberto Bottini ©UniTrento - Ph. Federico Nardelli

Ricerca

Leggere la mente attraverso gli occhi

Il progetto Erc di Roberto Bottini indaga il cervello per comprenderne i meccanismi neurali

4 aprile 2024
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di Daniele Santuliana
Ufficio Stampa e Relazioni esterne

Comprendere il funzionamento del cervello, capire cosa succede in presenza di malattie neurodegenerative come quella di Alzheimer, ma anche indagare le similitudini tra la mente umana e le reti neurali artificiali: sono questi gli obiettivi di Atcom - An attentional code for memory, il progetto di ricerca che il neuroscienziato Roberto Bottini coltiverà i prossimi cinque anni nei laboratori del Centro interdipartimentale Mente/Cervello (Cimec) dell’Università di Trento. Un progetto che è valso a Bottini un consolidator grant dell’European Research Council.

«L’idea – racconta Bottini – è quella di comprendere il codice attraverso il quale organizziamo la nostra conoscenza. Vogliamo indagare in particolare la "memoria dichiarativa", quella a cui accediamo in modo cosciente e che possiamo manipolare». Un tipo di memoria intenzionale, diversa da quella che ci permette di svolgere azioni in modo quasi automatico, ad esempio guidare l’automobile, andare in bicicletta o giocare a tennis.

«La memoria dichiarativa – prosegue Bottini – è quella a cui abbiamo accesso in modo cosciente, ad esempio quando ricordiamo cosa abbiamo fatto la sera prima, come è andato il nostro ultimo compleanno o dove siamo stati in vacanza. Ci permette anche di accedere a informazioni generali cosiddette ‘tipiche’, ad esempio qual è la capitale di uno stato o le condizioni meteo legate a una situazione presente (è nuvoloso, quindi pioverà)».

Questo è anche il tipo di memoria legato al futuro: «Le stesse strutture neurali cognitive che utilizziamo per pensare al passato ci permettono di pensare al futuro cioè di immaginare dove sarò tra dieci anni e che cosa starò facendo, oppure più semplicemente pensare a come andrà la cena di stasera».

La memoria dichiarativa è quella che viene intaccata in alcuni tipi di demenza, come la malattia di Alzheimer: «È una memoria intrinsecamente relazionale, non solo ci permette di ricordare eventi o cose, ma anche come sono legati tra loro. Questa rete di relazioni tiene insieme tutto quello che sappiamo e ci permette di pensare. Senza questo scheletro, i nostri ricordi sarebbero delle monadi e non potremmo pensare in modo creativo, cioè mettere insieme queste informazioni attraverso relazioni nuove e inaspettate».

Queste relazioni sono organizzate attraverso mappe attenzionali a bassa dimensionalità, quelle che garantiscono la maggior flessibilità e che possono essere applicate in contesti molto diversi: «L’idea delle mappe attenzionali è basata da una parte su fatti, dall’altra su intuizioni. Sappiamo che esistono strutture informazionali a bassa dimensionalità in alcune aree del cervello, le mappe cognitive. Abbiamo anche delle evidenze che queste mappe siano ‘attenzionali’, cioè che prendano le informazioni strutturali di cui hanno bisogno dai movimenti o ‘patterns’ dell’attenzione».

E ancora: «Le strutture neurocognitive che i mammiferi hanno evoluto per rappresentare lo spazio intorno a sé sono basate su un sistema di navigazione che esiste nel nostro cervello. Lo stesso sistema può essere usato per navigare la memoria e la conoscenza. Non è un caso che la malattia di Alzheimer – la situazione paradigmatica di danneggiamento di questi processi neurocognitivi – porti a perdere la capacità di mettere in relazione i punti nello spazio, ma anche le informazioni concettuali».

Per condurre le sue ricerche, Bottini utilizza diverse tecniche: l’eye tracking, un tracciatore a infrarossi che misura i movimenti oculari, per capire come la mente risponda a determinati stimoli; la risonanza magnetica, per visualizzare plasticamente la struttura del cervello; la magnetoencefalografia, per localizzare l’attività neurale e seguirla con precisione nel tempo.

Quali sono le prospettive di questa ricerca? Sostanzialmente tre: «La prima – risponde Bottini – riguarda la ricerca di base, per capire in generale come funziona il cervello, cosa ci rende quello che siamo, cosa ci rende uguali ma anche diversi dagli altri animali». La seconda riguarda invece la parte più applicativa, cioè «la necessità di conoscere quali sono i meccanismi che ci permettono di pensare, di costruire la nostra memoria, di ricordare nel modo in cui lo facciamo. Anche per capire cosa succede quando qualcosa non funziona, soprattutto in presenza di malattie neurodegenerative come quella di Alzheimer». Ma gli studi di Bottini guardano anche fuori dal corpo umano, verso l’AI: «questo progetto è stato ispirato anche dai progressi delle reti neurali artificiali. Non è possibile infatti rimanere indifferenti a quanto sta succedendo in questo campo. Per quanto ancora lontana da quella umana, l’intelligenza artificiale presenta delle comunanze che non possono essere sottovalutate».