Laboratorio del Dipartimento Cibio ©UniTrento - Ph. Alessio Coser

Ricerca

Dagli embrioni sintetici nuove possibilità di cura

Un esperimento importante per la ricerca sulle malattie genetiche

27 giugno 2023
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Paola Siano
Ufficio Stampa e Relazioni esterne

Una vera e propria rivoluzione nel campo degli studi sulle cellule staminali, partita dall’ Università di Cambridge e arrivata come un uragano nei centri di ricerca di tutto il mondo. Ne parliamo con Maria Caterina Mione, professoressa ordinaria di biologia al Dipartimento Cibio e con Lucia Busatta, ricercatrice del Dipartimento CIBIO.

Professoressa Mione, cosa hanno realizzato i ricercatori dell’Università di Cambridge e come sono arrivati a questo risultato?

«Il team di Magdalena Zernicka-Goetz studia le prime fasi dello sviluppo embrionale dei mammiferi per scoprire i meccanismi che portano alla costruzione di un organismo complesso e differenziato come l’embrione, dove sono già presenti cellule capaci di dare origine ad un organismo adulto e funzionante. Questo processo di istruzione cellulare nasce dall’interazione tra i primi tre tipi di cellule che vengono prodotte subito dopo la fecondazione, e non era mai stato portato avanti con successo in laboratorio, a causa della difficoltà a mantenere vitali i tre tipi cellulari nello stesso mezzo di coltura. In questo esperimento, i ricercatori hanno utilizzato uno solo dei tre tipi cellulari, quello con maggiori potenzialità, la cellula embrionale staminale (ESC) per generare gli altri due e stabilire quindi la condizione necessaria per un ulteriore differenziamento e sviluppo. Per ottenere gli altri due tipi cellulari gli studiosi hanno indotto temporaneamente l’espressione di un paio di geni “chiave” per i due tipi cellulari mancanti».

Cosa rappresenta per il mondo della ricerca scientifica questo risultato?

«La possibilità di riprodurre in laboratorio le prime fasi dello sviluppo embrionale umano rappresenta un enorme traguardo per la ricerca e allarga i nostri orizzonti alla possibilità di conoscere meglio i meccanismi dello sviluppo normale e patologico. Almeno il 3-5% di tutte le nascite sono accompagnate da difetti congeniti che possono portare alla morte del neonato o a disordini permanenti dello sviluppo. Inoltre, la maggior parte delle malattie genetiche che si manifestano nel corso della vita, inclusi il cancro e le malattie neurodegenerative, ha origine da eventi che si realizzano durante lo sviluppo embrionale».

Si aprono quindi prospettive nuove per la scienza e la medicina?

«Molte malattie genetiche, soprattutto quelle rare, sono dovute a mutazioni che vengono definite “de novo”, perché non presenti nel genoma dei genitori. Tali mutazioni originano da danni al DNA che avvengono o nelle cellule germinali prima della fecondazione o molto più probabilmente nelle prime cellule embrionali, cioè proprio in quelle utilizzate negli studi di Zernicka-Goetz. Avendo la possibilità di riprodurre le prime fasi dello sviluppo embrionale in laboratorio si potranno studiare e prevenire gli eventi che inducono queste mutazioni. Questo vale anche per altre malattie dovute a mutazioni cosiddette somatiche, cioè non presenti nelle cellule germinali dei genitori, ma che si verificano in stadi più avanzati dello sviluppo o che rimangono silenti per anni, tra cui anche il cancro e i disordini dello sviluppo neurale».

Come è stata accolta dal Dipartimento Cibio questa notizia? Si potrebbero aprire nuovi spazi di confronto e di studio?

«Da noi alcuni ricercatori si occupano da anni dello studio del differenziamento cellulare e delle malattie dello sviluppo, usando organismi come la Drosofila, lo Zebrafish o lo Xenopus. Altri ricercatori usano invece cellule derivate dalle ESCs per studiare i processi di rigenerazione o le conseguenze che le mutazioni hanno sulle loro capacità di differenziarsi o di funzionare. Per tutti noi, la tecnologia messa a punto dal team di Zernicka-Goetz rappresenta un importante passo avanti per lo studio dei meccanismi che governano lo sviluppo embrionale ed il differenziamento cellulare, e di conseguenza la possibilità di prevenire e/o curare malattie genetiche rare, tumori e disordini dello sviluppo neurale».

Dottoressa Busatta, gli stessi studiosi dicono che sia necessaria una regolamentazione precisa. Quali sono le questioni etiche e giuridiche che questo esperimento apre?

«Il tema centrale, sia per l’etica che per il diritto, è quello delle definizioni. A partire da esse, possiamo ragionare sulle implicazioni delle scoperte scientifiche, sui limiti e sulle eventuali regole. In questo caso, ad esempio, si tratta di “embriodi”, ossia “modelli” di embrioni, costruiti a partire da cellule staminale, come ricorda la Prof.ssa Mione. Questo significa che si tratta di strutture artificiali, che servono per studiare come funziona la crescita cellulare nelle primissime fasi di sviluppo, ma non si tratta di embrioni umani propriamente detti. Nel Regno Unito, dove l’esperimento è stato realizzato, la ricerca sugli embrioni umani è possibile fino al 14esimo giorno dalla fecondazione, termine individuato perché corrisponde alla formazione della prima striscia di sistema nervoso. Da tempo la comunità scientifica suggerisce di superare questo limite, per studiare più da vicino una fase dello sviluppo umano poco esplorata. Con questi modelli creati in laboratorio si può vedere cosa succede anche dopo il 14esimo giorno e questo apre nuove e importanti frontiere per la ricerca scientifica, per l’etica e il diritto. I limiti previsti per la sperimentazione con gli embrioni umani potrebbero risultare almeno in parte superati o riformulati con gli embriodi».