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Coltivare la memoria tra attivismo e cancellazione

Conversazione con Giorgia Proietti, coordinatrice del laboratorio “memoria e società” per il Dipartimento di Lettere e Filosofia

20 luglio 2023
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Di Chiara Cesareo
Dipartimento di Sociologia e Ricerca sociale

La narrazione della storia di matrice occidentale – quella da cui dipende gran parte della monumentalità pubblica e dell'odonomastica – si dimostra sempre meno rispondente alle esigenze di senso della società odierna. La sensibilità contemporanea tende infatti a rifiutare l'impostazione schiavista e razzista di derivazione coloniale che ha caratterizzato il sistema di valori occidentali nella prima metà del '900 e in una buona fetta della seconda metà.

«Nell'ambito dei Memory Studies – spiega Giorgia Proietti, ricercatrice di Storia greca e coordinatrice dell’Interdepartmental Laboratory Memory and Society (LIMS) per il Dipartimento di Lettere e Filosofia – si parla di "memory activism" per indicare quella concezione che ha dato vita ai movimenti di protesta che puntano a cancellare i simboli di questo passato».

Nel 2020 l'uccisione di George Floyd, cittadino afroamericano di Minneapolis, ha rivitalizzato in maniera significativa il movimento "Black Lives Matter" contribuendone alla diffusione sia in America, sia in Europa. Sono state tante le statue simbolo del passato razzista occidentale distrutte o imbrattate: Cristoforo Colombo negli Stati Uniti, ma anche Leopoldo II in Belgio e Indro Montanelli a Milano.

Parallelamente, ci sono stati anche tentativi per modificare il canone scolastico, soprattutto in America, con l’obiettivo di censurare i testi che darebbero voce alla supremazia dei bianchi sui neri, della civiltà occidentale contro la presunta barbarie.

La cosiddetta "cancel culture" è quindi un tentativo di cancellare le tracce del passato coloniale, siano esse monumentali, letterarie o toponomastiche.

«Una situazione molto vicina a noi riguarda la città di Bolzano, di recente analizzata in una tesi di laurea che ho avuto l’opportunità di seguire», racconta Proietti. «Quello che è successo nel capoluogo altoatesino rappresenta un’elaborazione sana delle tracce di un passato in cui la comunità non si riconosce più. Lì, c’è stata infatti non la distruzione ma la risemantizzazione e rifunzionalizzazione di queste tracce.

Ad esempio, il Monumento alla Vittoria di Bolzano, che rappresenta la celebrazione del trionfo del fascismo, non è stato distrutto, ma trasformato in un’occasione di conoscenza critica, tramite un'operazione emotivamente e intellettualmente geniale. All'interno della cripta sono stati creati due percorsi espositivi paralleli: uno racconta la storia della città pre e post fascista e uno la storia del monumento. Sopra il fregio - che contiene brani classici usati dal fascismo come motti - sono proiettate invece scritte luminose con citazioni da Hannah Arendt e Bertolt Brecht. Quanto è potente una cosa del genere? Ci sono insomma diverse modalità di opposizione al racconto ufficiale egemonico e diversi modi per fare “cancel culture" ma senza cancellare. In questo modo si produce conoscenza». 

«Su questo tema – conclude Proietti – è da ricordare un libro degli anni '80 di David Lowenthal, padre degli heritage studies, "The past is a foreign country". Il libro è stato riedito nel 2015 con una nuova porzione significativa intitolata "Contestare il passato". Nel nuovo capitolo, Lowenthal dice che il passato è un paese straniero e che inutile prendersela con lui, perché è unico e irripetibile; siamo noi che abbiamo la possibilità di attivare, rispetto a questo passato, la gamma di relazioni che riteniamo opportuna: possiamo conoscerlo, apprezzarlo, prenderlo ad esempio o totalmente distanziarcene, rifiutarlo, disconoscerlo. Un messaggio bellissimo, nella prospettiva del rispetto della conoscenza».