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Nobel a Karikó e Weissman: il commento di Pizzato

Il virologo del Dipartimento Cibio sui vaccini anticovid e la ricerca UniTrento

3 ottobre 2023
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Paola Siano
Ufficio Stampa e Relazioni esterne

La ricerca per sconfiggere il COVID è stata premiata con il Premio Nobel per la Medicina 2023. Pochissimi giorni fa sono stati annunciati al Karolinska Institutet di Stoccolma i nomi dei vincitori: Katalin Karikó e Drew Weissman, inventori dei due vaccini basati su mRNA. “Vaccini che hanno salvato milioni di vite e prevenuto malattie gravi in molte altre persone", questa la motivazione per l’assegnazione del riconoscimento.

Il lavoro dei due scienziati, lei biochimica di origini ungheresi, lui immunologo statunitense, è stato fondamentale per lo sviluppo di un sistema di difesa contro il coronavirus SARS-CoV-2. I vaccini realizzati hanno permesso di salvare la vita di milioni di persone riducendo i rischi di soffrire di forme gravi dell’infezione. In particolare, i loro studi hanno permesso di comprendere meglio il modo in cui formulare e somministrare l’RNA messaggero (il famoso mRNA che in questi ultimi anni un po’ tutti noi abbiamo imparato a conoscere) per stimolare il sistema immunitario, applicando metodi innovativi per vaccini di nuova generazione.
«È inusuale che venga riconosciuta e premiata una scoperta in così breve tempo – commenta Massimo Pizzato». «In questo caso – prosegue - il fatto che l’invenzione sia stata funzionale e importante per contenere la pandemia è sicuramente ciò che ha fatto la differenza, il suo impatto è stato evidente fin da subito». In effetti, scorrendo la storia dei Premi Nobel della medicina, bisogna andare al 1951 per ritrovare un simile riconoscimento per i vaccini. Allora fu premiato Max Theiler, che aveva sviluppato un siero contro la febbre gialla. Inoltre, negli ultimi 60 anni, l’attesa tra la scoperta ed il premio è raddoppiata, con la metà dei vincitori che ormai deve pazientare per più di 20 anni. «Bisogna però dire – prosegue il docente di microbiologia generale - che lo studio dei vaccini a mRNA non è una cosa che risale agli ultimi 3 anni ma ha radici profonde. Io stesso ricordo che quando ho iniziato gli studi di dottorato, nel 1996 si discuteva proprio di questo, della possibilità di usare una molecola di RNA per vaccinare una persona».   

In effetti gli studi di Karikò e Weissman sull’mRNA come potenziale terapeutico iniziano almeno una quindicina di anni fa. Nel 2005, la scoperta chiave: l’mRNA potrebbe essere alterato e rilasciato nel corpo per attivare il sistema immunitario. E così i vincitori del Nob©UniTrento ph. Alessio Coserel 2023 hanno lavorato per anni, fino a quando la loro tecnologia è stata impiegata per costruire i vaccini per proteggere da forme gravi di infezioni da coronavirus. 
«In tutti questi anni si sono affinate le metodiche per disegnare questa molecola, per progettarla e poi per sintetizzarla. Il motivo per cui i due ricercatori sono stati premiati è che hanno anche trovato il modo per rendere molto più efficace l’assunzione e la persistenza di questo RNA, il modo in cui questo entra nelle cellule e rimane intatto per un periodo sufficientemente lungo per permettere di stimolare il sistema immunitario. Il problema dell’RNA (la molecola di codifica, decodifica, regolazione e l’espressione dei geni, ndr.) era proprio questo. Loro sono riusciti a creare una forma di RNA modificandolo in una sua componente che ha fatto sì che questa molecola potesse essere un’arma robusta per la vaccinazione. Poi la pandemia ha dato un’accelerazione, sdoganando questo sistema che è molto promettente, non solo per una malattia virale come il COVID-19 ma soprattutto nell’ambito dell’immunità contro i tumori. Una scoperta che ha sicuramente aperto le porte verso applicazioni per altre patologie».   

Questo tipo di ricerca ha infatti prospettive di sviluppo per altre malattie e possibilità, non soltanto vaccinali ma anche di terapie antitumorali. Attraverso l’inoculazione di uno specifico RNA messaggero si punta ad indurre le cellule dell’organismo a produrre determinati antigeni sensibilizzando il sistema immunitario. L’Università di Trento si è impegnata fin dall’inizio della pandemia nella ricerca di un vaccino contro il covid. Come stanno proseguendo gli studi? «Si, i nostri studi vanno avanti. Proprio la settimana scorsa è stato pubblicato un articolo sulla rivista Vaccines che descrive il lavoro fatto dall’Università. Le nostre ricerche hanno portato ad una tecnologia diversa, che si basa su vescicole batteriche che espongono un pezzo del virus inducendo l’immunità in un organismo. Questo articolo mostra che questa tecnologia adattata per antigeni virali può essere usata anche per stimolare l’immunità contro una malattia virale». Adesso com’è la situazione della diffusione del virus? «Abbiamo a che fare con un virus che come quelli influenzali persiste. Deve ancora stabilizzarsi, però non siamo più di fronte a degli shock, delle situazioni drastiche. Ci sono dei piccoli mutamenti che registrano dei picchi ma non sono più così elevati e non causano più la malattia che abbiamo visto all’inizio della pandemia. È un virus che evolve molto lentamente, ma non è più così nuovo da indurre una malattia che il nostro sistema immunitario non può controllare. Così come per il virus dell’influenza, anche questo può rappresentare comunque un pericolo per le persone più fragili. Siamo di fronte ad una situazione che ricorda molto i virus influenzali. È l’evoluzione così come doveva andare». Anche grazie ai vaccini? «Grazie ai vaccini che adesso abbiamo per proteggere le persone più deboli, certo. Ma i vaccini sono stati fondamentali nel momento in cui la popolazione non aveva mai incontrato prima il virus. Questa è la differenza. Questo virus che c’è adesso, se noi non fossimo stati vaccinati e non avessimo incontrato nessun virus simile prima sarebbe un virus pandemico come lo abbiamo conosciuto. Il punto è proprio che il vaccino ci ha inserito una base immunitaria che fa sì che questo virus non sia più una cosa nuova. Anche chi è stato vaccinato e non ha mai avuto il COVID prima può essere infettato, ma il sistema immunitario ha una memoria che può essere stimolata per generare gli anticorpi e le cellule stimolate inizialmente dal vaccino. Così diminuisce l’impatto patologico della malattia. In questo senso il vaccino è stato fondamentale negli anni della pandemia, ora continua ad esserlo per le persone che sono più a rischio».