The light of Peace in the trenches on Christmas Eve ©Christmas Truce 1914|The Illustrated London News 1915|Frederic Villiers

 

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La resistenza dell’amicizia

Michele Nicoletti, docente di Filosofia politica, spiega le dinamiche tra gruppi: dall’alleanza all’inimicizia alla distruzione

2 novembre 2023
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di Johnny Gretter
studente collaboratore Ufficio Stampa e Relazioni esterne

L’amicizia è qualcosa di cui ogni persona ha esperienza diretta. Dall’infanzia all’età adulta si cerca di allargare e approfondire le proprie conoscenze, stringendo rapporti con colleghi o compagni di studi. Tuttavia, di solito non si pensa che il concetto di amicizia possa aver subito un’evoluzione nel corso dei secoli e sia stato raccontato in modo diverso da molte discipline, dalla filosofia alla musica. A questo tema è stato dedicato L’Amicizia, ciclo di seminari ideato dai docenti e dalle docenti della scuola di dottorato in Culture d’Europa. L’ultimo appuntamento è stato “La sfida dell’inimicizia e la resistenza dell’amicizia in età contemporanea”, tenuto da Michele Nicoletti, ordinario di Filosofia politica alla Scuola di Studi internazionali e al Dipartimento di Lettere e Filosofia, che si è concentrato sul rapporto tra politica, amicizia e inimicizia nell’età contemporanea. Il professore ha raccontato a UniTrentoMag come l’amicizia e l’inimicizia sono cambiate nel corso dei secoli e che spazio hanno oggi nella politica.

Professor Nicoletti, il suo seminario ha trattato la “resistenza dell’amicizia nella contemporaneità”. Questo presuppone che il concetto di amicizia si sia evoluto nel corso della storia?

«Certamente esiste un’evoluzione del concetto di amicizia nel corso dei secoli, legato alla trasformazione delle relazioni sociali e politiche, all’evoluzione della sfera personale e dei sentimenti, nonché allo sviluppo dei mezzi di comunicazione. Ma nella sfera politica di cui mi occupo ci sono costanti significative che riguardano soprattutto il tema della protezione reciproca dalle minacce esterne. L’amico è colui che io ammetto entro la mia sfera di vita intima e personale: ho fiducia in lui e so che anche “dall’interno” della mia vita non rappresenta una minaccia, ma al contrario è un mio alleato».

Nella contemporaneità, invece, sembra esserci un trionfo dell’inimicizia?

«Più che di un trionfo dell’inimicizia parlerei di una “sfida” dell’inimicizia, perché in età contemporanea l’inimicizia ha assunto forme nuove e totali come tristemente ci testimoniano i fatti di questi giorni con l’aggressione russa nei confronti dell’Ucraina o di Hamas nei confronti di Israele e la spirale di ulteriori violenze che rischiano di alimentare. In alcuni di questi conflitti vediamo rinascere qualcosa che non avremmo mai voluto rivedere, ossia l’odio totale nei confronti del nemico che, ad esempio, caratterizza l’antisemitismo. Il nemico non è più solo colui che appartiene a un altro gruppo umano, che può entrare in conflitto con il gruppo a cui apparteniamo per l’accaparramento di risorse economiche o di territori. Invece, diventa l’”altro” da eliminare in senso assoluto: la sua sola esistenza rappresenta una minaccia, non il suo “fare”, ma il suo “essere”. A spingere l’inimicizia in direzione dell’inimicizia radicale e assoluta, che può arrivare fino allo sterminio dell’altro, concorrono non solo ragioni economiche o geopolitiche, ma anche religiose o ideologiche. L’altro viene dipinto come il male radicale, il demoniaco, il nemico dell’umanità che va non solo contenuto o reso inoffensivo, ma estirpato».

Possono esistere diversi tipi di amicizia? Lo stesso vale per l’inimicizia?

«Come ci sono diversi tipi di amicizia nella vita politica, ad esempio la militanza in un comune partito, l’alleanza tra popoli e Stati o la cooperazione economica e culturale, così ci sono anche diversi tipi di inimicizia. Oltre all’inimicizia radicale a cui ho fatto riferimento, è esistito nella storia uno sforzo di “umanizzazione” del nemico che ha caratterizzato la nascita del diritto umanitario. Questo ha cambiato il modo con cui si conduce la guerra, per esempio risparmiando la vita di civili, trattando in certo modo i prigionieri, ed evitando il ricorso ad armi di distruzione di massa. Purtroppo, oggi assistiamo a un’oggettiva difficoltà del diritto umanitario. Ci eravamo illusi che l’evoluzione della tecnologia avrebbe consentito dei conflitti più “puliti” – se proprio necessari. Invece, ci troviamo davanti all’esplosione della guerra disumana e disumanizzante. A ciò si aggiunge l’”inimicizia” interna, cioè la dichiarazione che un determinato gruppo o movimento all’interno di uno Stato è un “nemico” della patria e come tale deve essere neutralizzato. È una pratica devastante utilizzata dagli Stati totalitari, si pensi alle leggi razziali, ma può essere messa in atto in altri Paesi, pur se in forme meno radicali e violente. Anche in questo caso, evidentemente, ci troviamo di fronte a un’”eccedenza” dell’inimicizia».

Nel mondo di oggi che spazio ha l’amicizia, invece? Ha ancora la capacità di resistere, almeno in alcuni contesti, oppure viene eclissata da questa “eccedenza dell’inimicizia”?

«L’amicizia resiste ed è capace di adattarsi ai contesti. Anche nei totalitarismi, l’era più buia dell’inimicizia, non solo vi è stata una resistenza dell’amicizia, ad esempio nelle forme di solidarietà nei confronti degli ebrei perseguitati, ma anche forme straordinarie di amicizia nella resistenza, dove l’amicizia personale o studentesca si è trasformata in amicizia civile capace di animare movimenti di resistenza al totalitarismo, prefigurando una società libera dall’odio. Questo ci consente di guardare all’oggi con un briciolo di speranza e con un senso di responsabilità rinnovata. Non cedere all’odio dipende anche da noi. E far sì che mai nessun conflitto sfoci nella disumanizzazione dell’altro è il dovere dell’oggi».