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Vita universitaria

Nei territori inesplorati della conoscenza

Con Roberto Iuppa nei misteri delle particelle e con Matteo Leonardi nel sussurro dell’universo

14 giugno 2023
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di Lorenza Liandru
Supporto alle Relazioni istituzionali

Nell’ultimo secolo il progresso scientifico e tecnologico ha permesso all’umanità di superare i limiti dell'ignoto, allargando ancora di più l’orizzonte del visibile e quindi del nostro sapere. Questo continuo confronto con il limite è forse uno degli aspetti più affascinanti della ricerca scientifica e in particolare della fisica. Ne parliamo con Roberto Iuppa e Matteo Leonardi, rispettivamente professore associato e ricercatore del Dipartimento di Fisica dell’Università di Trento. A loro abbiamo chiesto di parlare delle ricerche che stanno conducendo nei territori ancora inesplorati dell’infinitamente piccolo, delle previsioni meteo spaziali e delle invisibili vibrazioni dell’universo.

Professor Iuppa, iniziamo con un breve profilo.

«Mi occupo di fisica delle particelle e dal 2008 a oggi ho preso parte a molti esperimenti di fisica fondamentale, condotti in vari laboratori, in tutto il mondo e nello spazio. Ho mosso i primi passi nella ricerca a Roma e adesso lavoro al Dipartimento di Fisica dell'Università di Trento, dove sono arrivato nel 2016. Sono impegnato in diversi progetti di ricerca, tra i quali gli esperimenti Atlas e Limadou».

Andiamo con ordine e parliamo di Atlas. Di cosa si tratta?

«Atlas è uno dei quattro principali esperimenti al Large Hadron Collider (LHC) del Cern di Ginevra, il più grande e potente acceleratore di particelle al mondo. All'interno dell'acceleratore, o meglio dire collisore, due fasci di particelle ad alta energia e velocità vengono fatti scontrare in punti prestabiliti, dove sono stati installati gli esperimenti. Atlas intende spingersi a esplorare l’energia, la materia, lo spazio e il tempo oltre i confini finora conosciuti. Sono membro del progetto del Cern dal 2014 e arrivato all’Università di Trento ho fondato il gruppo di fisica Atlas».

Passiamo a Limadou. In cosa consiste questo progetto?

«Il progetto Limadou fa parte della missione scientifica Cses (Chinese Seismo-Electromagnetic Satellite) e rientra in un programma di collaborazione tra l’Agenzia spaziale cinese e l’Agenzia spaziale italiana. È una missione che prevede il lancio di più satelliti per lo studio e il monitoraggio della ionosfera, quella regione dell’alta atmosfera che si estende da 60 a 1000 km circa sopra la superficie terrestre. Il primo satellite lanciato in orbita, che viaggia a 500 km sopra le nostre teste, ha a bordo nove strumenti scientifici, tra i quali il rivelatore di particelle Hepd, un progetto al quale ha preso parte anche un gruppo di ricercatori dell’Università di Trento. In questa missione la ricerca e la tecnologia trentina hanno ruoli da protagoniste».

Perché è importante lo studio della ionosfera?

«Il progetto Limadou ha sia finalità legate allo studio della fisica delle astroparticelle, sia l’obiettivo di individuare e sviluppare nuove tecniche per il monitoraggio sismico dallo spazio. Il flusso delle particelle elettricamente cariche della ionosfera può essere infatti perturbato da fenomeni sismici di grande magnitudo, ma in questo ambito la cautela è d’obbligo e soprattutto non possiamo parlare di previsioni. L’equilibrio della ionosfera, inoltre, viene alterato dall’attività del sole, come brillamenti e vento solare ad alta velocità. Sono fenomeni che possono farsi sentire anche qui sulla Terra».

Quali conseguenze possono avere questi fenomeni sulla Terra?

«Fenomeni solari estremi possono compromettere le comunicazioni satellitari, le trasmissioni radio, l’uso della localizzazione Gps, causando talvolta seri blackout elettrici, soprattutto alle alte latitudini. Per questo motivo, negli ultimi decenni, la fisica solare e spaziale si è evoluta in una disciplina nota con il nome di meteorologia dello spazio o space weather. Semplificando possiamo dire che space weather si occupa dello studio dei processi fisici che coinvolgono le condizioni dello spazio in cui si trovano la Terra e i pianeti del Sistema solare. Cerca inoltre di comprendere i processi di interazione del vento solare con la magnetosfera e la ionosfera e gli effetti sull'atmosfera terrestre, sulla vita umana e sulla tecnologia».

Possiamo intuire il peso di queste previsioni in un mondo sempre più dipendente dalle comunicazioni satellitari e proiettato alla conquista dello spazio, come l’attuale…

«Sì, l'importanza di prevedere i cambiamenti indotti dal sole e gli effetti che tali cambiamenti hanno sulle attività umane è diventata sempre più evidente. In futuro questo tipo di "previsioni del tempo" sarà imprescindibile anche nella scelta delle finestre di lancio delle missioni spaziali, che sono sempre più numerose. È un settore che offre ai fisici nuove sfide e opportunità».

Anche Matteo Leonardi sa guardare ed esplorare oltre i limiti di quello che ora comprendiamo e osserviamo. Nel 2016, quando era dottorando, ha fatto parte del gruppo di ricerca Virgo di Padova-Trento che ha contribuito alla prima rivelazione delle onde gravitazionali, quelle piccole increspature dello spaziotempo previste da Einstein. Una scoperta che è stata punto di arrivo di un secolo di ricerca in Fisica e, allo stesso tempo, l’inizio di un nuovo modo di osservare l’universo.

Oggi, dopo anni di esperienza all’estero, Matteo Leonardi è tornato a Trento nell'ambito del programma Rita Levi Montalcini. «La scelta di fare ricerca all’Università di Trento, dove tutto ha preso inizio, è stata ben ponderata», afferma Leonardi. «Le motivazioni alla base di questa decisione sono diverse: il gruppo di lavoro sulle onde gravitazionali del professor Giovanni Andrea Prodi è uno dei più importanti a livello italiano e qui ho a disposizione laboratori dotati di una strumentazione all’avanguardia, fattore cruciale per il successo degli esperimenti».

Ma non è tutto. A fare di Trento una realtà ideale per la ricerca nell’ambito della fisica c’è anche la presenza di un vero e proprio network di persone, laboratori e istituti, circostanza che favorisce l’interdisciplinarità e la trasversalità. «Penso, nel mio caso, al Quantum Science and Technology (Q@TN), ai colleghi della Fondazione Bruno Kessler e del Dipartimento di Ingegneria Industriale».

Quella della trasversalità è una delle caratteristiche della ricerca di Leonardi, che a Trento ha portato la fondamentale esperienza maturata al National Astronomical Observatory of Japan, dove ha trascorso cinque anni dedicandosi allo sviluppo di tecnologie e materiali in grado di migliorare la sensibilità del rivelatore di onde gravitazionali Kagra (Kamioka Gravitational Wave Detector). «Kagra è un interferometro laser dalle caratteristiche uniche ed è stato costruito in un sito sotterraneo stabile per minimizzare l’effetto delle vibrazioni e di altri fattori che potrebbero disturbare il segnale. Gli specchi sono stati realizzati in zaffiro, un materiale che presenta eccellenti proprietà a basse temperature: vengono infatti raffreddati a -250° C, in questo modo è possibile effettuare misure più precise».

Tutte queste precauzioni hanno un senso: per rilevare le debolissime increspature dello spazio tempo è necessario sopprimere diversi tipi di "rumori di fondo". E Matteo Leonardi, con il suo lavoro di ricerca nell’ambito dell’ottica quantistica, contribuisce a sviluppare tecnologie e materiali capaci di ridurre i disturbi che limitano la sensibilità dell'esperimento. «Il campo di applicazione delle ricerche che sto conducendo non si limita solo alla ricerca delle onde gravitazionali. Può avere, ad esempio, applicazioni all’ambito della crittografia quantistica e del quantum computing», conclude Leonardi. Chi non è del mestiere fatica a immaginare gli impatti di queste scoperte sulla vita di tutti i giorni. Ma la ricerca di oggi è la base per le applicazioni tecnologiche dei decenni a venire. E i fisici, che sanno vedere l’invisibile e trovare le relazioni profonde tra le cose, sono sempre alla ricerca di nuovi territori da esplorare.