Un laboratorio di chimica all'interno del Dipartimento di Fisica

Vita universitaria

Questione di chimica

Michele Orlandi converte inquinanti e luce solare in energia pulita; Claudio Gioia crea materiali plastici da composti naturali

15 giugno 2023
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di Daniele Santuliana
Ufficio Stampa e Relazioni esterne

Nell’immaginario collettivo, in particolare in quello di chi è profano delle materie scientifiche, esiste una distinzione netta tra fisica e chimica: la fisica si occupa dei principi fondamentali che spiegano la materia e l'energia; la chimica si concentra su come le sostanze interagiscono tra di loro e con l'energia. Eppure, le zone di contiguità e sovrapposizione sono più di quante si possa immaginare. Ne parliamo con Michele Orlandi e Claudio Gioia che, all’interno del Dipartimento di Fisica dell’Università di Trento, si occupano proprio di chimica.

Partiamo dall’origine: cosa ci fanno dei chimici in un dipartimento di fisica?

Orlandi: «In realtà, chimica e fisica hanno parecchio in comune. In molte università, i dipartimenti che si occupano delle due discipline lavorano a stretto contatto. A Trento non c’è un dipartimento di chimica, ma questa disciplina viene coltivata in particolare da quello di Fisica, oltre che a Ingegneria e al Dipartimento Cibio. Per chi si occupa di chimica – in particolar modo se lavora su materiali ed energia – questa è una collocazione naturale, con curriculum sovrapponibili e molte zone di complementarietà».

Gioia: «Molti aspetti della fisica possono essere visti dal punto di vista della chimica. All’Università di Trento si studia la chimica organica presso il Dipartimento di Fisica fin dai primi anni 2000 con il professor Graziano Guella e la professoressa Ines Mancini. Io e Michele rappresentiamo la prosecuzione di questa esperienza».

Nello specifico di cosa vi occupate?

Orlandi: «Faccio parte del gruppo Idea - Idrogeno, energia e ambiente. Lavoriamo su materiali per la conversione dell’energia solare, ma anche per la trasformazione degli inquinanti in prodotti innocui o in materiali riutilizzabili».

Gioia: «Io, invece, faccio parte del gruppo di chimica bio-organica. Il gruppo ha tre anime: si occupa della sintesi di farmaci, studia i metaboliti e trasforma composti naturali in composti plastici. Io lavoro in particolare in quest’ultimo ambito».

Tornando al rapporto tra fisica e chimica, quali sono i linguaggi comuni? E quali le differenze?

Orlandi: «I punti di contatto maggiori sono nella descrizione della struttura elettronica della materia, nella quanto-meccanica, nella spettroscopia e nella fisica dello stato solido. Le differenze riguardano soprattutto la descrizione di processi in soluzione. Il background di chi studia le due discipline è comunque molto simile. Naturalmente, è più facile che fisici e chimici si capiscano quando si parla del "piccolo" o dell'"infinitesimamente piccolo". Le cose si complicano, ad esempio, con la cosmologia».

Gioia: «Fisica e chimica sono materie vaste con tante anime differenti. Come diceva Michele, nella fisica si va dall'infinitamente piccolo all’infinitamente grande. La chimica si colloca invece nel relativamente piccolo e studia molecole, macromolecole e solidi. Le competenze sono comunque complementari. Io, che mi occupo di materiali plastici e polimerici, mi trovo molto bene con chi fa fisica predittiva, cioè simulazione. Io immagino i materiali e i colleghi fisici li simulano».

Quali sono gli ambiti in cui le due discipline si incontrano?

Orlandi: «In moltissimi ambiti, se escludiamo subatomico e infinitamente grande. In qualunque dispositivo elettronico moderno convivono fisica e chimica».

Gioia: «Dal livello atomico ai materiali, molti eventi possono essere descritti sia con un approccio fisico, sia con uno chimico».

Parliamo del mondo delle imprese: cosa cercano quelle che fanno ricerca e sviluppo in ambito fisico e chimico?

Orlandi: «Prima di tutto, cercano un metodo, una forma mentis, la capacità di affrontare problemi. L’Ipsp – Industrial problem solving with physics dell’Università di Trento nasce proprio per far incontrare le aziende con chi fa ricerca o frequenta un dottorato. Le aziende cercano figure con un approccio rigoroso, ma non esclusivamente specialistico. Proprio all’Ipsp, abbiamo visto problemi prettamente di chimica risolti da chi studia fisica teorica. Ma abbiamo avuto anche studenti e studentesse di chimica sperimentale che si sono cimentati con problemi di meccanica».

Gioia: «L'università forma persone il cui scopo è risolvere problemi. C’è da dire che l’approccio industriale aiuta anche noi ad adottare prospettive nuove, ad esempio nel campo della sostenibilità ambientale».