Rappresentazione grafica. Soldato di fronte a un edificio in rovina. @ Adobe Stock

Internazionale

Focus Ucraina. La prima vittima della guerra è il diritto?

Approfondimenti a cura di UniTrentoMag e Scuola di Studi Internazionali

7 aprile 2022
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Marco Pertile
di Marco Pertile
Scuola di Studi Internazionali - SSI

La guerra in Ucraina ci ha portato indietro di un secolo. Lo dicono, credo giustamente, gli studiosi delle relazioni internazionali. Si pensava che i conflitti armati contemporanei fossero destinati a manifestarsi quasi esclusivamente nella forma della guerra civile, lontana da noi. Assistiamo, invece, al più classico dei conflitti interstatali, il caso di uno stato che invade il territorio altrui per conquistarlo o comunque per soggiogare la volontà di un governo sovrano. 

Per il giurista la questione è spiazzante non solo perché è anomala, ma anche perché… è facile. Se il diritto internazionale è piuttosto lacunoso quando si tratta di regolare le guerre civili, prevede invece norme dettagliate per i conflitti tra stati. Le regole sulla condotta delle ostilità, in particolare, sono contenute in trattati ampiamente ratificati come le quattro convenzioni di Ginevra del 1949 e il primo Protocollo addizionale del 1977. Non c’è dubbio quindi che esistano regole che gli stati hanno volontariamente assunto, vincolanti durante il conflitto armato. 

In queste settimane, la discussione ha toccato inizialmente le cause del conflitto e l’illiceità delle ragioni addotte dalla Federazione russa per fare ricorso alla forza armata. In seguito è iniziata, come prevedibile, la quotidiana analisi della condotta delle ostilità e degli episodi raccapriccianti che la guerra porta con sé. Il dibattito sull’aggressione armata è stato gradualmente sostituito dalla descrizione di altro: gli attacchi contro i civili o contro le strutture sanitarie, l’uso di bombe a grappolo o di armi termobariche, le ostilità condotte in prossimità di centrali nucleari e, infine, le umiliazioni e delle torture subite dalla popolazione del territorio occupato o dai prigionieri di guerra. 

Il dibattito pubblico si trasforma molto spesso in una litania di violazioni che portano gli osservatori a riassumere la situazione in modi molto superficiali. Visto che il diritto viene, con ogni evidenza, quotidianamente violato, la conclusione apparentemente logica è che le regole sulla condotta delle ostilità non servano a nulla.

Tra le prime vittime della guerra ci sarebbe anche il diritto e non soltanto, per così dire, la verità, si potrebbe pensare parafrasando il celebre aforisma di Eschilo. Esistono a mio avviso almeno due argomenti per respingere questa tesi. 

In primo luogo è importante considerare che il linguaggio giuridico è utilizzato con regolarità dalle parti coinvolte nel conflitto e dagli osservatori esterni. Se davvero il diritto è inutile, come mai chi sceglie la via della guerra continua a usare argomenti giuridici per parlare e per relazionarsi con gli altri? Credo che sia importante ricordare, in altri termini, le caratteristiche di universalità del linguaggio del diritto internazionale. Le regole sulla condotta delle ostilità hanno radici antiche che rimandano a rituali religiosi di purificazione dei combattenti e a tabù sociali come il divieto di avvelenare i pozzi. Il fatto che i protagonisti del conflitto continuino a esprimersi attraverso argomenti giuridici e che i terzi continuino a usare il diritto come parametro di valutazione non può che comportare anche una minima razionalizzazione della relazione umana più primitiva: la sopraffazione violenta dell’altro. Essere chiamati a rendere conto dei propri comportamenti secondo i canoni dell’argomentazione giuridica, in altri termini, può portare a una limitazione della violenza. La situazione a cui assistiamo è, intendiamoci, gravissima e del tutto insoddisfacente. Ma non abbiamo alcuna controprova su cosa potrebbe verificarsi in un conflitto condotto in assenza di regole minime condivise. 

Il secondo argomento riguarda invece una questione di tipo cronologico. Quando si afferma l’inefficacia delle regole giuridiche è opportuno considerare che la violazione delle norme del diritto internazionale ha spesso effetti che si realizzano a distanza di tempo. Può capitare infatti che, per ragioni materiali e politiche, esistano ben poche possibilità di attuare le norme durante il conflitto. Succede però anche che gli effetti della violazione non vengano condonati e possano essere fatti valere a distanza di anni. Questo vale in primo luogo per le ripercussioni sulla reputazione che possono restringere lo spazio di azione politica dei governi, degli stati e degli individui che li rappresentano. Non tutti sono pronti a stringere la mano di un leader delegittimato perché ha violato il diritto internazionale e comunque, chi lo farà, dovrà mettere in conto il pagamento di un costo politico. È poi possibile che le violazioni gravi del diritto dei conflitti armati siano giudicate dalle corti penali degli stati o da quelle internazionali che abbiano giurisdizione sulle vicende del caso. Anche a distanza di anni dagli eventi, gli individui coinvolti nel conflitto possono essere giudicati per la loro responsabilità individuale per crimini di guerra. Nel caso del conflitto in corso, il Procuratore della Corte penale internazionale ha già avviato un’indagine visto che l’Ucraina aveva accettato la giurisdizione della Corte rispetto al proprio territorio. Il Procuratore ha ricordato in una delle sue prime dichiarazioni che “non c'è giustificazione giuridica, non c'è scusante, per attacchi che sono indiscriminati, o che sono sproporzionati nei loro effetti sulla popolazione civile” e ha esortato le parti al conflitto a “evitare l'uso di armi esplosive pesanti nelle aree popolate”.

In conclusione, il diritto internazionale può mitigare la gravità dei crimini che si realizzano in un conflitto razionalizzando i comportamenti dei belligeranti secondo regole condivise. In alcuni casi, esso può svolgere anche una funzione repressiva. In questi giorni tragici può sembrare poco, ma non è nulla.


The first casualty of war is “the law”. Is it so? 

by Marco Pertile
School of International Studies - SIS

The war in Ukraine has put us back a century. That is what international relations scholars are saying, and I share that view. We assumed that contemporary armed conflicts would almost exclusively break out far from us, in the form of civil wars. But the current situation, on the other hand, is the most classic of interstate conflicts, with one state invading the territory of another state to conquer it or anyway to suppress the will of a sovereign state. 

This is puzzling for jurists, not only because it is rather unusual, but because the issue is... easy to solve. There are legal vacuums in international humanitarian law when it comes to civil wars, but rules are extremely detailed for conflicts between states. The rules on the conduct of the hostilities, in particular, are contained in treaties that have been widely ratified as the four Geneva Conventions of 1949 and the first additional protocol of 1977. There is no doubt then, that there are rules that states have voluntarily adopted and which are binding in an armed conflict. 

In the past weeks, the discussion initially concerned the causes of the conflict and the unlawful reasons provided by the Russian Federation to use military force. Then, as predictable, analysts started to examine the conduct of the hostilities and the atrocities that war inevitably entails. The discussion on the military attack was gradually replaced by the examination of other aspects: the attacks against civilians and health facilities, the use of cluster bombs or thermobaric weapons, warfare around nuclear plants and, finally, the humiliation and torture inflicted on the population in the occupied territory or on prisoners of war. 

The public discourse often turns into a long list of infringements that lead observers to offer a very superficial reading of the situation. Since laws are violated every day, clearly, one may come to the conclusion, that only appears to be logical, that the rules on the conduct of the hostilities are useless.

Therefore the law, together with truth, may be among the first casualties of war, to paraphrase a famous line by Aeschylus. There are, in my opinion, two arguments to refute this claim. 

First, it is important to consider that the parties involved in the conflict and external observers use the legal language on a daily basis. If the law is useless, why would the belligerents continue to use legal arguments to communicate and interact with others? Or, to put it in other words, I believe it is worth remembering that the language of international law is universal. The rules on the conduct of the hostilities have deep roots that go back to religious purification rituals for warriors and social taboos like well poisoning. The fact that the parties involved in the conflict continue to express themselves using legal arguments and that third parties continue to use the law as an assessment parameter necessarily implies, at least, a desire to rationalize the most primitive human relation: violent oppression. In other words, the fact that individuals have to account for their actions based on the principles of legal reasoning may limit violence. The situation that is unfolding right now, let’s be clear, is extremely serious and unacceptable. But we have no proof of what would happen in a conflict conducted without shared rules. 

The second argument is more of a chronological matter. When one claims that legal rules are ineffective, one should consider that the consequences of violations of international law often appear after some time. It can occur in fact, for practical and political reasons, that the rules of international humanitarian law cannot be applied during the conflict. But it also occurs that the consequences of the violations are not pardoned and that crimes can be prosecuted years after they have been committed. This is true first of all for reputation repercussions, that can limit the political reach of governments, states and individuals who represent them. Not everyone is eager to shake hands with leaders who have been delegitimized because they violated international law and, in any case, those who do will have to take into account the political price of this decision. It can also be that serious infringements of the law of armed conflict are examined by national or international criminal courts that have jurisdiction over the case. Those who took part in armed conflicts can be tried for their individual responsibilities in war crimes years after the events. As regards the situation in Ukraine, the Prosecutor of the International Criminal Court has already opened an investigation because Ukraine has accepted the Court’s jurisdiction over alleged crimes occurring on its territory. The Prosecutor, in one of his first statements, underlined that “There is no legal justification, there is no excuse, for attacks which are indiscriminate, or which are disproportionate in their effects on the civilian population”, and strongly urged the parties to the conflict “to avoid the use of heavy explosive weapons in populated areas”.

In conclusion, international humanitarian law can help mitigate the seriousness of crimes that are committed during a conflict by rationalizing the behaviour of the belligerents on the basis of shared rules. In some cases, it can also impose punishments. In these tragic days, it may not seem like much, but it is not nothing either.

[Traduzione di Paola Bonadiman]