Una delle opere fotografate per la mostra ©UniTrento - Ph. Paolo Chistè

Intagliatore sudtirolese, Altare a portelle, Madonna col Bambino e santi, fra cui Sant'Anna Metterza (1500-1510 circa). Legno intagliato con policromia rinnovata nel 1863-1864 e tempera su tavola. Bolzano, Museo del Tesoro del Duomo

Formazione

Sant'Anna a Palazzo Prodi

Un'esposizione per imparare i segreti di chi cura le mostre

18 marzo 2024
Versione stampabile
di Lorenza Liandru
Supporto alle Relazioni istituzionali

A partire da martedì 19 marzo, è possibile visitare al Dipartimento di Lettere e Filosofia la mostra fotografica "La madre della Madre: l’iconografia di Sant’Anna nel Tirolo storico", curata da Alessandra Galizzi Kroegel, Paolo Chistè, Stefanie Paulmichl, Emanuela Lo Carmine e Giulia Bellin. L’iniziativa, realizzata in collaborazione con Officina Espositiva, presenta diversi elementi di originalità: prende in considerazione un’iconografia curiosa, permette di osservare e confrontare opere poco note, ma soprattutto ha dato a due studentesse l’opportunità di mettersi in gioco curando una vera mostra. Ne parliamo con Alessandra Galizzi Kroegel, docente di Museologia e critica artistica e del restauro e co-curatrice dell’esposizione.

Professoressa Galizzi, cosa propone al visitatore la mostra "La madre della Madre: l’iconografia di Sant’Anna nel Tirolo storico"?

«Il percorso espositivo presenta ventisei fotografie a colori di altrettante opere d’arte raffiguranti Sant’Anna, leggendaria madre della Vergine Maria e nonna di Gesù. Le opere documentate sono diverse dal punto di vista tipologico – troviamo dipinti su tela, tavole, retabli ad ante e affreschi – ma omogenee per quanto riguarda l’ambito geografico, tutto racchiuso tra l’Alto Adige e l’Austria meridionale. Nel loro insieme queste opere coprono un arco temporale che va dal XIV al XVII secolo, circostanza che permette di osservare l’evoluzione dell’iconografia di Sant’Anna su un periodo di quasi quattrocento anni. Area geografica e cronologia di riferimento non sono stati scelti a caso, ovviamente. Il culto di Sant’Anna, infatti, conobbe il suo apice tra la fine del Quattrocento e i primi decenni del Cinquecento, soprattutto nei paesi germanofoni, dove la santa fu patrona delle famiglie dell’alta borghesia così come di orefici, tessitori, falegnami e minatori. È un tema interessante e in mostra sono documentate raffigurazioni di Sant’Anna di altissima qualità».

Come è nata l’idea della mostra e chi è l’autore delle fotografie?

«Tutte le fotografie sono state realizzate da Paolo Chistè, responsabile del Laboratorio di tecniche fotografiche avanzate Tefalab/Labaaf, in vista della mostra “Anna: la madre di Maria. Culto e iconografia nel Tirolo storico”, tenutasi al Museo Diocesano Tridentino nell’autunno 2021. L’esposizione, curata da me e da Stefanie Paulmichl, era nata da un progetto di ricerca promosso dal Dipartimento di Lettere e Filosofia e affidato a Paulmichl, che ha concentrato la sua attenzione su tre aree: il Trentino, l’Alto Adige e l'Austria meridionale. Per lo studio delle opere trentine è stato possibile partire dall’Inventario diocesano (Banca Dati CEI OA), una banca dati informatizzata che riunisce più di 139mila schede di beni storico-artistici conservati nelle chiese della provincia, corredate da fotografie digitali in alta risoluzione. La ricerca delle testimonianze appartenenti all’Alto Adige e all'Austria meridionale, dove le opere risultavano documentate in modo meno capillare del Trentino, ha preso avvio dalle fonti bibliografiche. È stato quindi necessario procedere ad una vasta campagna fotografica e le belle immagini che ora esponiamo sono il frutto di questo lavoro svolto tra il 2020 e il 2021».

Quindi si può dire che l’attuale mostra è quasi uno spin off dell’esperienza di alcuni anni fa.

«Sì, ma rispetto all’iniziativa espositiva del 2021 questa mostra ha un valore aggiunto, che è quello didattico. Alcune studentesse hanno partecipato al progetto già nella fase di ripresa delle opere, aiutando Paolo Chistè durante i sopralluoghi nelle chiese e nei castelli dell’Alto Adige e dell'Austria meridionale. In quell’occasione le ragazze hanno anche preso o verificato le misure di tele, tavole e sculture. Questo lavoro sul campo può sembrare banale, ma in realtà è di fondamentale importanza per chi si occupa di beni storico-artistici; senza dimenticare che il confronto con chi custodisce le opere insegna anche a fare pubbliche relazioni, un altro aspetto cruciale per chi fa ricerca sul campo. C’è poi stata la fase di curatela vera propria, affidata alle studentesse Emanuela Lo Carmine e Giulia Bellin, che hanno lavorato sotto la supervisione dei docenti e di Paolo Chistè. E devo dire che sono rimasta piacevolmente colpita dalle soluzioni individuate dalle studentesse, sia per la suddivisione delle opere all’interno del percorso, sia per quanto riguarda le didascalie, fruibili attraverso un QR Code. Penso che riusciranno a coinvolgere e incuriosire il visitatore durante e dopo la visita».

Perché è importante offrire a studenti e studentesse l’opportunità di cimentarsi in questi primi esperimenti da curatore o curatrice?

«Allestire una mostra è un processo complesso e affascinante, che va ben oltre la semplice disposizione delle opere su pareti o pannelli. È un vero e proprio atto creativo, che abbraccia un ampio ventaglio di attività, tra le quali si possono annoverare la selezione delle opere, la scelta del luogo e del modo in cui esporle, l’organizzazione del percorso, la redazione di didascalie e pannelli così come quella del comunicato stampa. Il ruolo richiede, dunque, competenze storico-artistiche unite ad abilità comunicative e organizzative. Senza trascurare una buona dose di senso pratico e molta attenzione per la componente estetica. Curare una mostra è quindi un’opportunità formativa completa, soprattutto per chi frequenta la laurea magistrale in Storia dell’arte e studi museali. Studenti e studentesse possono anche decidere di scoprire i segreti della fotografia applicata ai beni culturali insieme a Paolo Chistè, un professionista di grande esperienza e una risorsa davvero importante per il nostro Dipartimento».