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Storie

Costruire la pace

Paolo Foradori racconta l’esperienza in zone di guerra. Al via corsi con focus su sicurezza e organizzazioni internazionali

2 ottobre 2023
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Paola Siano
Ufficio Stampa e Relazioni esterne

Dalla cattedra alle operazioni sul campo. È rientrato da pochi mesi in Italia, dopo aver trascorso un periodo di congedo di quattro anni dall’Università per rivestire il ruolo di consigliere politico nelle missioni europee in Iraq (3 anni) e in Libia (1 anno). Il docente, professore di Scienza politica alla Scuola di Studi internazionali e al Dipartimento di Sociologia e Ricerca sociale, racconta il lavoro svolto e come questa attività potrà arricchire l’attività in Ateneo.

In passato ha lavorato con le Nazioni Unite: nel Caucaso russo per un’operazione Onu a favore della Cecenia, in Kosovo durante l’intervento militare della Nato, nell’ Afghanistan dei talebani. Nei suoi ricordi, tante immagini ed emozioni: dal disagio per essere sempre circondato da guardie del corpo, al dolore provato nell’incontro a Baghdad con donne sopravvissute alla schiavitù e alle violenze dei terroristi dell’Isis, fino a quella sensazione di leggerezza, necessaria forse per resistere ad una quotidianità tanto complicata, trovata nei brevi momenti di svago, come la festa del 2 giugno celebrata all’ambasciata italiana mangiando pizze preparate dai Carabinieri del Regimento Tuscania. Oggi è tornato in aula tra i suoi studenti e le sue studentesse, mettendo a loro disposizione il lavoro svolto. Paolo Foradori, Professore associato Scuola di Studi Internazionali - SSI

Professore, che esperienza è stata dal punto di vista umano?                                                                     

Direi estremamente interessante. Ci si confronta con realtà diverse e complicate, si entra a contatto con la popolazione locale cui è destinato il lavoro di queste missioni. Ho stretto forti legami con tanti colleghi e funzionari provenienti da decine di paesi diversi, e confrontarsi con il loro modo di operare è stato arricchente.  

Quale è stato il suo ruolo sul campo? Cosa fa un consigliere politico delle missioni europee?

Il compito del political advisor è dare indicazioni al Capo Missione e al senior staff sugli sviluppi politici, sociali, economici e di sicurezza del paese dove la missione è dispiegata. Il consigliere politico deve conoscere approfonditamente il paese dove opera. Deve essere informato su tutto quello che accade, deve capire come gli eventi del paese influiscono sulla missione e, viceversa, come la missione può impattare sulle dinamiche politiche del territorio di intervento.        

È come un costruttore di pace. 

Potremmo dire così. Le missioni in cui ho lavorato puntavano alla stabilità del paese. In Iraq avevo come mandato la riforma del settore della sicurezza iracheno, in Libia quello di controllo delle frontiere. L’obiettivo dell’Unione europea è sempre promuovere la sicurezza e i processi di democratizzazione di questi Stati, spingere per lo sviluppo economico e garantire la tutela dei diritti umani.

Lei ha terminato le missioni con quali risultati?                                                                                                                                                                               

Molto spesso le necessità sono più grandi di quello che queste missioni possono fare. La sensazione è che se non fossimo lì le cose andrebbero peggio. Ma i problemi sono tanti, riguardano aspetti istituzionali e culturali, e i risultati si vedono nel lungo periodo. Nel caso iracheno ad esempio, l’idea è quella di trasformare le forze di sicurezza locali per renderle più efficaci nel proprio compito, come la lotta al terrorismo, ma anche più professionali e rispettose dei diritti umani. Parliamo di un obiettivo che non può che essere raggiunto con le prossime generazioni.  Sono processi graduali che richiedono tempo. Ma è importante esserci.

Come si conducono i negoziati? Quanto ha contato la sua formazione universitaria?

Dato il contesto in cui si lavora, in paesi instabili e ad alto rischio, devono esserci consapevolezza e esperienza. Da un punto di vista strettamente professionale il lavoro accademico è in qualche modo vicino a quello del consigliere politico. Gli studi sui temi della sicurezza e sul contesto geopolitico del Medioriente mi hanno permesso di acquisire conoscenze che sono state fondamentali sul campo. Il ruolo del consigliere politico presuppone un forte impegno di analisi. Banalmente la giornata a Baghdad iniziava con la lettura di rapporti più o meno confidenziali e ore trascorse al computer a leggere relazioni e informazioni sull’Iraq.

Questa esperienza come può dare un contributo all’università? Saranno attivati nuovi corsi?

Queste missioni internazionali permettono una comprensione chiara e molto reale delle cose di cui parlo in classe, e creano una serie di contatti utili per l’università. Già il prossimo semestre terrò un corso alla Scuola di Studi internazionali che si chiamerà “International Security and Global Challenges. Affronterò le questioni più attuali dal punto di vista delle organizzazioni internazionali che operano in situazioni di conflitto. Avrò una sessione di insegnamento con un focus sulle operazioni civili e militari europee. Inoltre coinvolgerò alcuni ex colleghi che hanno partecipato con me alle missioni. Uno di loro si occupa di intelligence europea e terrà un paio di lezioni. Un altro è referente per la sicurezza a Bruxelles ed è anche reclutatore del personale europeo. Sarà anche lui a valutare la preparazione degli studenti e delle studentesse, assegnando loro lo stesso test utilizzato nel reale processo di reclutamento degli analisti di sicurezza per le missioni UE.